LIBERTAS
LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ LEONE PP. XIII
DI SUA SANTITÀ LEONE PP. XIII
La
libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate
d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere
"in mano del proprio arbitrio" e di essere padrone delle proprie
azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba
manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi
vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla
ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma
egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini
del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria
rovina. Gesù Cristo, liberatore del genere umano, restaurando ed elevando la
primitiva dignità di natura, giovò moltissimo alla volontà dell’uomo e la
innalzò verso miglior segno, ora soccorrendola con la sua grazia, ora
proponendo la sempiterna felicità nei cieli. Per tale motivo la Chiesa
cattolica ha giovato e gioverà sempre a questo eccellente bene di natura,
poiché è sua missione diffondere in tutto il corso dei secoli i benefici
recati a noi da Gesù Cristo. Eppure sono molti coloro che considerano la
Chiesa contraria alla libertà umana. La causa di tale pregiudizio proviene da
un perverso e confuso concetto di libertà, che viene snaturato nella sua
essenza o allargato più del giusto, in modo da coinvolgere situazioni nelle
quali l’uomo non può essere libero, se si vuol giudicare rettamente.
In
altre occasioni, e soprattutto nella Enciclica
Immortale Dei, discorremmo
delle cosiddette libertà moderne, facendo distinzione tra ciò che è onesto
e il suo contrario; dimostrammo ad un tempo che ciò che vi è di buono in
quelle libertà è tanto antico quanto la verità e che la Chiesa lo ha sempre
favorevolmente approvato e messo in pratica. Ciò che vi aggiunse di nuovo, a
dire il vero, consiste nella parte più corrotta che provenne da tempi
turbolenti e da eccessiva brama di novità. Ma poiché vi sono molti che si
ostinano nella opinione che quelle libertà, anche quando siano segnate dal
male, sono da considerare come il sommo vanto della nostra età e il
necessario fondamento delle formazioni statali, così che, senza di quelle,
negano che si possa concepire un perfetto governo dello Stato, Ci sembra sia
necessario trattare specificamente tale argomento, avendo come obiettivo il
pubblico bene.
Noi
perseguiamo direttamente la libertà morale, sia che riguardi le singole
persone, sia il civile consorzio. Prima però è opportuno trattare brevemente
della libertà naturale poiché, sebbene si distingua affatto da quella
morale, tuttavia costituisce la fonte e il principio donde scaturisce
spontaneamente ogni forma di libertà. La ragione e il generale senso comune,
autentica voce di natura, riconoscono la libertà soltanto in quegli esseri
che sono dotati d’intelligenza o di razionalità, e in ciò sta il motivo
per cui l’uomo è considerato giustamente responsabile delle sue azioni.
Infatti, mentre gli altri animali sono guidati soltanto dai sensi e per solo
istinto di natura cercano ciò che loro giova, e fuggono da quanto loro nuoce,
l’uomo invece ha come guida la ragione nelle singole vicende della vita. La
ragione giudica se tutti e i singoli beni che esistono sulla terra hanno o non
hanno carattere di necessità e perciò, constatando che nessuno di essi è da
considerare necessario, concede alla volontà il potere di scegliere ciò che
preferisce.
Ma
l’uomo può giudicare il carattere contingente (come suol dirsi) dei beni
sopraddetti per il motivo che ha un’anima semplice per natura, spirituale,
dotata di pensiero; e proprio perché siffatta, non trae origine dalla materia
né dipende da essa per sussistere, ma creata direttamente da Dio e
trascendendo di gran lunga la comune condizione dei corpi, ha un suo proprio
genere di vita e di azione; ne deriva che, conosciute le immutabili e
necessarie ragioni del vero e del bene, si rende conto che quei beni
particolari non sono necessari. Pertanto, quando si stabilisce che l’anima
umana è separata da ogni concrezione mortale e ha facoltà di pensare, nello
stesso tempo si colloca la naturale libertà sul suo più saldo fondamento.
Invero,
la natura semplice, spirituale e immortale dell’anima umana, e la libertà
non sono state proclamate a gran voce, né con maggiore costanza da nessuno
come dalla Chiesa cattolica, la quale insegnò in ogni tempo l’uno e
l’altro principio e lo sostenne come un dogma. Non solo: contro i
predicatori di eresie e i fautori di nuove dottrine, la Chiesa assunse il
patrocinio della libertà e preservò dalla distruzione un così grande bene
dell’uomo. A questo proposito, opere letterarie testimoniano con quale
vigore essa respinse gl’insani attacchi dei Manichei e di altri; nessuno
ignora con quanto zelo e con quanta energia, in epoca più recente, sia nel
Concilio di Trento, sia poi contro i seguaci di Giansenio, essa abbia
combattuto a favore del libero arbitrio dell’uomo, non consentendo in alcun
tempo o in alcun luogo che potesse sussistere il fatalismo.
Pertanto
la libertà, come abbiamo detto, appartiene a coloro che sono dotati di
ragione o d’intelligenza; se si considera la sua natura, essa non è altro
che la facoltà di scegliere i mezzi idonei allo scopo che ci si è proposti,
in quanto chi ha la facoltà di scegliere una cosa tra molte, è padrone dei
propri atti. Invero, poiché ogni cosa che sia assunta come causa di
desiderio, ha carattere di bene che prende il nome di utile, il bene è tale
per natura in quanto sollecita un desiderio e perciò il libero arbitrio
appartiene alla volontà, o piuttosto è la volontà stessa, in quanto
nell’agire ha facoltà di scelta. Ma la volontà non si manifesta, se prima
non si accese la cognizione intellettuale, quasi come una fiaccola; cioè, il
bene desiderato dalla volontà, è necessariamente un bene in quanto
riconosciuto tale dalla ragione. Tanto più che in tutti gli atti volontari,
la scelta è sempre preceduta dal giudizio sulla verità dei beni e sul bene
da anteporre agli altri. Nessun filosofo dubita che l’atto di giudicare
appartenga alla ragione e non alla volontà. Dunque, se la libertà è
tutt’uno con la volontà che per sua natura è desiderio sottomesso alla
ragione, ne consegue che anch’essa, come la volontà, inclini al bene
conforme a ragione.
Sennonché,
poiché entrambe le facoltà sono lontane dalla perfezione, può accadere, e
spesso accade, che la mente proponga alla volontà ciò che in realtà non è
affatto un bene, ma ha solo un’apparenza di bene e che ad esso la volontà
si adegui. Ma come la possibilità di errare, e l’errare di fatto, è un
vizio che denuncia l’imperfezione della mente, similmente l’appigliarsi a
beni fallaci e apparenti è una prova di libero arbitrio, come la malattia è
prova di vita, e tuttavia denota un vizio di libertà. Così la volontà, in
quanto dipende dalla ragione, quando desidera alcunché di difforme dalla
retta ragione, inquina profondamente la libertà e fa un uso perverso di essa.
Per questo motivo Dio infinitamente perfetto, essendo sommamente intelligente
e solo bontà, è anche sommamente libero e perciò in nessun modo può volere
il male della colpa; né lo possono i beati celesti in quanto contemplano il
bene supremo. Saggiamente Agostino ed altri, contro i Pelagiani, avvertivano
che se il sottrarsi al bene era conforme alla natura e alla perfezione della
libertà, allora Dio, Gesù Cristo, gli Angeli, i Beati, nei quali non
sussiste quel potere, o non sarebbero liberi o certamente lo sarebbero meno
perfettamente dell’uomo pellegrino e imperfetto. Su questo argomento il
Dottore Angelico disserta spesso ampiamente e da lui si può evincere che la
facoltà di peccare non significa libertà ma schiavitù. Acutamente egli
dice, commentando le parole di Gesù Cristo "chiunque commette il peccato
è schiavo del peccato" (Gv 8,34): "Ogni cosa è ciò che le
conviene secondo la propria natura. Quando dunque è mossa per impulso
estraneo, non agisce in modo autonomo, ma per influenza altrui, cioè
servilmente. Ora, l’uomo è ragionevole per natura. Quando dunque agisce
secondo ragione, agisce di propria iniziativa e secondo la propria natura:
questa è libertà. Quando invece commette peccato, agisce contro ragione e
allora egli è sospinto quasi da un altro e imprigionato entro limiti altrui;
"perciò chiunque commette il peccato è schiavo del peccato"".
Questa verità era stata individuata chiaramente anche dagli antichi filosofi,
e soprattutto da coloro che per principio ritenevano essere libero soltanto il
sapiente; definivano sapiente, come è noto, chi avesse appreso a vivere
costantemente secondo natura, cioè onestamente e virtuosamente.
Poiché
tale è nell’uomo la condizione della libertà, era necessario proteggerla
con idonei e saldi presidi che indirizzassero al bene tutti i suoi impulsi e
la ritraessero dal male; altrimenti il libero arbitrio avrebbe recato grave
danno all’uomo. Dapprima fu necessaria la legge, vale a dire una norma che
regolasse le azioni e le omissioni; legge che in senso proprio non può
esistere tra gli animali che agiscono per necessità comunque si comportino:
agiscono per impulso di natura e non possono seguire altro modo di agire.
Invece, coloro che godono della libertà, hanno facoltà di agire, di non
agire, di agire in un modo o altrimenti poiché scelgono ciò che vogliono,
facendo precedere quel giudizio razionale a cui già accennammo. In virtù di
tale giudizio non solo si stabilisce che cosa sia onesto e che cosa sia turpe,
ma anche che cosa in concreto sia il bene da compiere e il male da evitare; la
ragione cioè prescrive alla volontà ove dirigere il desiderio e da dove
rimuoverlo, in modo che l’uomo possa raggiungere il suo fine ultimo, in
vista del quale si deve agire in ogni momento. Ora, questo ordinamento della
ragione si chiama legge.
Perciò
la causa prima della necessità della legge va ricercata, come in radice,
nello stesso libero arbitrio dell’uomo, ossia nel fatto che le nostre volontà
non siano in disaccordo con la retta ragione. Nulla si potrebbe dire o pensare
di più perverso e assurdo che il considerare l’uomo esente da legge in
quanto libero per natura: se così fosse, ne conseguirebbe che per essere
libero dovrebbe sottrarsi alla ragione; invece è assai evidente che deve
sottostare alla legge proprio perché libero per natura. Dunque la legge è
guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e
lo allontana dal peccato. Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta
e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana
ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare. Invero questa
norma della ragione umana non può avere forza di legge se non perché è voce
ed interprete di una ragione più alta, a cui devono essere soggette la nostra
mente e la nostra libertà. La forza della legge infatti consiste
nell’imporre doveri e nel sancire diritti; perciò si fonda tutta
sull’autorità, ossia sul potere di stabilire i doveri e di fissare i
diritti, nonché di sanzionare tali disposizioni con premi e castighi; è
chiaro che tutto ciò non potrebbe esistere nell’uomo, se, legislatore sommo
di se stesso, prescrivesse a sé la norma delle proprie azioni. Dunque ne
consegue che la legge di natura sia la stessa legge eterna, insita in coloro
che hanno uso di ragione, e che per essa inclinano all’azione e al fine
dovuto: essa è la medesima eterna ragione di Dio creatore e reggitore
dell’intero universo.
A
questa regola nell’agire e alle remore nel peccare sono stati aggiunti, per
grazia di Dio, altri speciali soccorsi, adattissimi a rafforzare e a regolare
la volontà umana. Sovrasta tra essi ed eccelle la virtù della divina grazia;
essa illumina la mente; sospinge sempre la volontà, rinvigorita da salutare
costanza, verso il bene morale; rende più facile e insieme più sicuro
l’uso della libertà naturale. È ben lontano dalla verità il supporre che
l’intervento di Dio renda meno liberi gl’impulsi volontari: infatti è
intima nell’uomo e conforme alle sue naturali inclinazioni la forza della
divina grazia, poiché deriva dallo stesso Autore dell’anima e della volontà
nostra; da Lui ogni cosa è mossa in conformità della propria natura. Anzi,
la grazia divina, come afferma il Dottore Angelico, per il motivo che deriva
dal Creatore della natura, è mirabilmente concepita ed idonea a tutelare ogni
creatura, a conservare i costumi, la forza, l’efficienza degl’individui.
Quanto
si è detto circa la libertà dei singoli uomini può essere facilmente
riferito agli uomini tra loro uniti in civile consorzio. Infatti, ciò che la
ragione e la legge naturale operano nei singoli uomini, del pari agisce nella
società la legge umana promulgata per il bene comune dei cittadini. Tra le
leggi degli uomini alcune riguardano ciò che per natura è bene o male; esse,
corredate dalla debita sanzione, insegnano a seguire l’uno e a fuggire
l’altro. Ma siffatte disposizioni non traggono origine dalla società umana,
poiché come la stessa società non ha generato la natura umana, così del
pari non crea il bene che conviene alla natura, né il male che ripugna alla
natura; piuttosto precorrono la stessa società civile e sono assolutamente da
ricondurre alla legge naturale e perciò alla legge eterna. Dunque i precetti
di diritto naturale contenuti nelle leggi umane, non hanno solo la forza di
legge umana ma soprattutto comprendono quell’autorità molto più alta e
molto più augusta che proviene dalla stessa legge di natura e dalla legge
eterna. In questo genere di leggi, il dovere del legislatore civile è
comunemente quello di condurre all’obbedienza i cittadini, dopo aver
adottato una comune disciplina, reprimendo i malvagi inclini ai vizi, affinché,
distolti dal male, perseguano la rettitudine o almeno non siano
d’impedimento e danno alla società.
Invero,
altre ordinanze del potere civile non derivano subito e direttamente dal
diritto naturale, ma da più lontano e in modo obliquo, e definiscono varie
questioni che la natura non ha definito se non in generale e in modo
indeterminato. Così la natura comanda che i cittadini contribuiscano alla
tranquillità e alla prosperità pubblica: ma quanto, come, in quali occasioni
non è stabilito da natura, bensì dalla saggezza degli uomini. Ora, in queste
particolari regole di vita suggerite dalla prudenza della ragione e introdotte
dal legittimo potere, consiste la legge umana propriamente detta. Questa legge
impone a tutti i cittadini di concorrere al fine indicato dalla società e
vieta di abbandonarlo; la stessa legge, finché segue dolcemente e
consenziente i dettami di natura, conduce alla rettitudine e distoglie dal
male. Da quanto detto si comprende che sono tutte riposte nella eterna legge
di Dio la norma e la regola della libertà dei singoli individui, non solo, ma
anche della comunità e delle relazioni umane.
Dunque
nella società umana la libertà nel vero senso della parola, non è riposta
nel fare ciò che piace, nel qual caso subentrerebbe il maggior disordine che
si risolverebbe nella oppressione della cittadinanza, ma consiste nel vivere
agevolmente in virtù di leggi civili ispirate ai dettami della legge eterna.
D’altra parte la libertà di coloro che governano non risiede nel poter
comandare in modo sconsiderato e capriccioso, il che sarebbe parimenti dannoso
e deleterio per lo Stato: per contro, la forza delle leggi umane deve derivare
dalla legge eterna e non deve sancire alcuna norma che sia estranea ad essa,
fonte del diritto universale. Scrive il sapientissimo Agostino : "Penso
che in quella (legge) temporale tu non possa vedere alcunché di giusto e di
legittimo che gli uomini non abbiano derivato a proprio beneficio da questa
(legge) eterna". Se dunque un qualunque potentato sancisce una norma che
sia in contrasto con i principi della retta ragione e sia funesto per lo
Stato, essa non ha nessuna forza di legge, poiché non è regola di giustizia
e allontana gli uomini dal bene, per il quale la società è nata.
Pertanto
la natura della libertà umana, comunque la si consideri, tanto nelle persone
singole quanto consociate, e non meno in coloro che comandano come in coloro
che ubbidiscono, presuppone la necessità di ottemperare alla suprema ed
eterna ragione, che altro non è se non l’autorità di Dio che comanda e
vieta. Questa sacrosanta sovranità di Dio sugli uomini è ben lontana dal
sopprimere la libertà o dal limitarla in alcun modo, tanto che, se mai, la
protegge e la perfeziona. Infatti la vera perfezione di tutte le creature
consiste nel perseguire e conseguire il proprio fine; il fine supremo a cui
deve tendere la libertà umana, è Dio.
La
Chiesa, ammaestrata dagli esempi e dalla sapienza del divino Fondatore,
ovunque diffuse e affermò questi precetti di una veritiera e sublime
dottrina, da noi conosciuta soltanto alla luce della ragione; né mai
desistette dal prenderli a norma della propria missione e di inculcarli nei
popoli cristiani. Per quanto riguarda i costumi, le leggi evangeliche non solo
sovrastano di gran lunga tutta la sapienza pagana, ma apertamente chiamano ed
educano l’uomo a una santità ignota agli antichi, e nell’avvicinarlo a
Dio lo rendono capace di più perfetta libertà. Pertanto apparve sempre
grandissima l’influenza della Chiesa nel custodire e proteggere la libertà
civile e politica dei popoli. A tal riguardo, non è questo il momento di
enumerare i suoi meriti. Basti ricordare l’abolizione della schiavitù,
antica vergogna delle genti pagane, soprattutto per opera ed interessamento
della Chiesa. Primo fra tutti, Gesù Cristo affermò l’imparzialità del
diritto e la vera fratellanza tra gli uomini: a Lui fece eco la voce dei suoi
Apostoli, per cui non esiste né Giudeo, né Greco, né Barbaro, né Sciita,
ma tutti sono fratelli in Cristo. A questo proposito è tanto grande e tanto
conosciuta la forza della Chiesa, che in qualunque plaga della terra imprima
la sua orma, è certo che i rozzi costumi non possono resistere a lungo; in
breve la mansuetudine dovrà succedere alla crudeltà, la luce della verità
alle tenebre della barbarie. Parimenti la Chiesa non desistette mai dal recare
grandi benefici ai popoli ingentiliti dalla civiltà, o resistendo
all’arbitrio dei prepotenti o allontanando le offese dal capo degli
innocenti e dei più deboli, o infine facendo in modo che prevalesse
l’ordinamento statale preferito dai cittadini per la sua equità, e temuto
dagli stranieri per la sua potenza.
Inoltre,
uno dei doveri più ragionevoli sta nel rispettare l’autorità e
nell’obbedire alle leggi giuste: ne deriva che i cittadini sono tutelati
contro la violenza dei malvagi, dall’equità e dalla vigilanza delle leggi.
Il potere legittimo deriva da Dio e chi resiste al potere, resiste
all’ordine di Dio; in tal modo l’obbedienza acquista molto in nobiltà,
divenendo ossequio verso un’autorità giustissima ed elevata in sommo grado.
Invero, dove il diritto di comandare è assente o dove si prescrive alcunché
di contrario alla ragione, alla legge eterna, alla sovranità di Dio, è
giusto non obbedire agli uomini per obbedire a Dio. Precluso in tal modo
l’adito alla tirannide, lo Stato non dovrà avocare tutto a sé: sono salvi
i diritti dei singoli cittadini, della famiglia, di tutti i componenti la
società, concedendo ampiamente a tutti la vera libertà che consiste, come
dimostrammo, nel poter vivere ciascuno secondo le leggi e la retta ragione.
Se
quando si discute di libertà ci si riferisse a quella legittima e onesta
quale or ora la ragione e la parola hanno descritta, nessuno oserebbe
perseguitare la Chiesa accusandola iniquamente di essere nemica della libertà
dei singoli e dei liberi Stati. Ma già sono assai numerosi gli emuli di
Lucifero – che lanciò quell’empio grido non servirò –, i quali in nome
della libertà praticano un’assurda e schietta licenza. Sono siffatti i
seguaci di quella dottrina così diffusa e potente che hanno voluto darsi il
nome di Liberali traendolo dalla parola libertà.
Ovviamente,
là dove mirano in filosofia i Naturalisti o i Razionalisti, ivi mirano, in
tema di morale e di politica, i fautori del Liberalismo i quali applicano nei
costumi e nella condotta di vita i principi affermati dai Naturalisti. Ora, il
primato della ragione umana è il caposaldo di tutto il Razionalismo, il quale
rifiuta l’obbedienza dovuta alla divina ed eterna ragione, si definisce
artefice della propria legge, e perciò considera se stesso il sommo
principio, la fonte e l’unico giudice della verità. Così i seguaci del
Liberalismo, di cui si è detto, nella vita pratica pretendono che non vi sia
alcun divino potere a cui si debba obbedienza e che ognuno debba essere legge
per se stesso; perciò nasce quella filosofia morale che chiamano indipendente
e che, dietro l’apparenza di libertà, tende a rimuovere la volontà dalla
osservanza dei divini precetti e quindi suole concedere all’uomo infinita
licenza. È facile comprendere quali conseguenze abbiano tali affermazioni
sulla società umana. Infatti, accettato e stabilito il principio per cui
nessuno è al di sopra dell’uomo, ne consegue che la causa che determina la
concordia e la società civile è da ricercare non già in un principio
esterno o superiore all’uomo ma nella libera volontà dei singoli; che il
potere pubblico emana, come da fonte primaria, dal popolo. Inoltre, come la
ragione di ciascuno è la sola guida e norma della condotta privata, così la
ragione di tutti deve essere guida per tutti nella vita pubblica. Perciò la
maggioranza ha poteri maggiori; la maggior parte del popolo è sorgente dei
diritti e dei doveri universali.
Ma
è evidente, da quanto si è detto, che queste affermazioni contrastano con la
ragione. Non volere che tra l’uomo e la società civile interceda alcun
vincolo con Dio creatore e supremo legislatore, ripugna assolutamente alla
natura, e non solo alla natura dell’uomo ma di tutte le creature; poiché è
necessario che tutti gli effetti abbiano qualche attinenza con la causa da cui
sono scaturiti, riguarda tutte le creature; attiene alla perfezione di
ciascuna rimanere nel posto e nel grado che l’ordine naturale ha stabilito,
in modo che il mondo inferiore sia sottoposto e obbedisca a quello che lo
sovrasta. Per di più, siffatta dottrina è gravemente perniciosa sia per i
singoli che per la società. Una volta confinato nella sola e unica ragione
umana il criterio del vero e del bene, la corretta distinzione tra il bene e
il male sparisce; le infamie non differiscono dalla rettitudine in modo
oggettivo ma secondo l’opinione e il giudizio dei singoli; il libito diventa
lecito; stabilita una regola morale che non ha praticamente il potere
d’infrenare e di placare le torbide passioni dell’animo, si spalancherà
spontaneamente la porta ad ogni corruttela. Nell’ordine pubblico, poi, il
potere di comandare viene separato dal giusto e naturale principio da cui esso
attinge ogni virtù generatrice del bene comune; la legge, nello stabilire i
limiti del lecito e dell’illecito, è lasciata all’arbitrio della
maggioranza, che è la via inclinata verso il regime tirannico. Ripudiato il
dominio di Dio sull’uomo e sul consorzio civile, ne consegue l’abolizione
di ogni culto pubblico e la massima incuria per tutto ciò che ha attinenza
con la religione. Del pari, la moltitudine, armata della convinzione di essere
sovrana, degenera in sedizioni e tumulti e, tolti i freni del dovere e della
coscienza, non resta altro che la forza, la quale, tuttavia, non è così
grande da potere da sola contenere la passioni popolari. Lo dimostra la lotta
pressoché quotidiana contro i socialisti ed altre schiere di sediziosi che da
tempo tentano di sovvertire radicalmente la società civile. Chi è in grado
di giudicare rettamente, valuti dunque e stabilisca se tali dottrine giovino a
una vera libertà degna dell’uomo, o piuttosto la pervertano e la corrompano
del tutto.
Certo,
non tutti i seguaci del Liberalismo concordano con quelle opinioni, spaventose
per la loro assurdità, che considerammo nemiche della verità e causa di mali
assai funesti. Anzi, molti di essi, sospinti dalla forza della verità, non
esitano ad ammettere o addirittura affermano spontaneamente che la libertà
diventa viziata e degenera in licenza se osa varcare certi limiti e trascurare
la verità e la giustizia. Perciò è necessario che la libertà sia guidata e
governata con retto raziocinio e sia soggetta, di conseguenza, al diritto
naturale e alla sempiterna legge divina. Ma i liberali qui si fermano; sono
convinti che un uomo libero non debba sottostare alle leggi che Dio volle
imporre; fanno eccezione per le leggi ispirate dalla ragione naturale.
Ma
tale affermazione non è affatto coerente. Infatti se, come essi ammettono e
come tutti devono ragionevolmente convenire, si deve obbedire alla volontà di
Dio legislatore, poiché ogni uomo è in potere di Dio e tende a Dio, ne
consegue che nessuno può stabilire norma e confini alla Sua autorità
legislatrice, senza andar contro la dovuta obbedienza. Anzi, se la mente umana
fosse così presuntuosa da voler stabilire quali e quanti diritti appartengano
a Dio e quali doveri a se stessa, il rispetto delle leggi divine sarà più
apparente che reale e il suo arbitrio prevarrà sull’autorità e la
provvidenza di Dio. È pertanto necessario assumere, con devozione costante,
una norma di vita sia dalla legge eterna, sia da tutte e da ogni singola legge
che Dio, d’infinita sapienza e potenza, tramandò nel modo che a Lui
piacque, e che noi possiamo conoscere con certezza attraverso segnali chiari e
immuni da ogni dubbio. Tanto più che siffatte leggi, poiché hanno la stessa
origine della legge eterna e lo stesso autore, del tutto armonizzano con la
ragione e aggiungono perfezione al diritto naturale; inoltre contengono il
magistero di Dio stesso che, per evitare che la mente o la volontà nostra
cadano nell’errore, regge benignamente entrambe col suo cenno e con la sua
guida. Sia dunque congiunto con salda pietà ciò che non può né deve essere
disgiunto, e in ogni occasione, come prescrive la stessa ragione naturale, si
presti a Dio umile obbedienza.
Alquanto
più moderati, ma per nulla più coerenti, sono coloro che dicono che la vita
e i costumi dei privati devono essere regolati dal dettato delle leggi divine,
ma non quelli dello Stato; che è lecito sottrarsi ai comandamenti di Dio nei
pubblici affari e non rifarsi ad essi in alcun modo nel formulare le leggi. Ne
deriva quel funesto corollario per cui è necessario dissociare la Chiesa
dallo Stato. Ma non è difficile comprendere l’assurdità di queste
affermazioni. Infatti la stessa natura prescrive che ai cittadini siano dati
mezzi e opportunità per condurre una vita onesta, cioè conforme alla legge
di Dio, poiché Dio è il principio della rettitudine e della giustizia e
quindi è inconcepibile che lo Stato ignori quelle stesse leggi o che possa
fondare una convivenza ad esse ostile. Inoltre coloro che governano i popoli
hanno il dovere verso la comunità di provvedere non solo al benessere e ai
beni materiali, ma soprattutto ai beni spirituali con la sapienza delle leggi.
E invero non si può immaginare nulla di più adatto ad accrescere questi beni
che quelle leggi di cui Dio è autore; perciò, nel governo della società,
coloro che rifiutano di applicare le leggi divine, fanno sì che il potere
politico si svii dal suo scopo e dall’ordine di natura. Ma ciò che più importa e che già da Noi stessi fu più volte
ricordato, è il fatto che, sebbene il governo civile miri a fini diversi
rispetto al potere sacrale, e non percorra lo stesso itinerario, tuttavia
nell’esercizio del potere è inevitabile che talora l’uno e l’altro
s’incontrino. Infatti entrambi hanno il dominio sulle stesse persone e
accade spesso che entrambi affrontino le stesse questioni sia pure con diverso
criterio. Ogni volta che un tal caso si presenta, poiché il conflitto è
assurdo e profondamente ripugna alla sapientissima volontà di Dio, è
necessario che vi sia un metodo e un ordine per cui possa sussistere un
ragionevole accordo nell’operare, dopo aver rimosso le cause di dispute e di
conflitti. Una siffatta concordia fu già paragonata, non senza ragione,
all’unione che esiste tra l’anima e il corpo, con vantaggio di entrambe le
parti; la loro disunione è soprattutto nociva al corpo, in quanto ne spegne
la vita.
Ad
ulteriore chiarimento, è opportuno considerare separatamente quelle varie
conquiste di libertà che sono un’esigenza dell’epoca nostra. In primo
luogo notiamo nelle singole persone un atteggiamento che è profondamente
contrario alla virtù religiosa, ossia la cosiddetta libertà di culto. Questa
libertà si fonda sul principio che è facoltà di ognuno professare la
religione che gli piace, oppure di non professarne alcuna. Eppure, fra tutti i
doveri umani, senza dubbio il più nobile e il più santo consiste
nell’obbligo di onorare Dio con profonda devozione.
Tale
obbligo deriva dal fatto che noi siamo sempre in potere di Dio, siamo
governati dalla volontà e dalla provvidenza di Dio e, da Lui partiti, a Lui
dobbiamo ritornare. Si aggiunga che senza religione non può esservi virtù
nel vero senso della parola; infatti è virtù morale quella che ha per dovere
di condurre a Dio, ultimo e sommo bene per l’uomo; perciò la religione, che
determina le azioni che direttamente e immediatamente hanno il fine di onorare
Dio , è sovrana e moderatrice di tutte le virtù. E a chi si chiede quale
unica religione sia doveroso seguire, tra le molte esistenti e tra loro
discordi, la ragione e la natura rispondono: certamente quella che Dio ha
prescritto e che gli uomini possono facilmente riconoscere da certi aspetti
esteriori con cui la divina provvidenza volle distinguerla, poiché in una
questione di tanta importanza ogni errore produrrebbe immense rovine. Perciò,
una volta concessa quella libertà di cui stiamo parlando, si attribuisce
all’uomo la facoltà di pervertire o abbandonare impunemente un sacrosanto
dovere, e conseguentemente di volgersi al male rinunciando a un bene
immutabile; questa non è libertà, come dicemmo, ma licenza e schiavitù di
un’anima avvilita nel peccato.
La
stessa libertà, se considerata nell’ambito della società, pretende che lo
Stato non faccia propria alcuna forma di culto divino e non voglia professarlo
pubblicamente; pretende che nessun culto sia anteposto ad un altro, ma che
tutti abbiano gli stessi diritti, senza tener conto della volontà popolare,
se il popolo si dichiara cattolico. Ma perché fossero corretti tali principi,
dovrebbe essere vero che gli obblighi della società civile verso Dio o sono
nulli o possono essere impunemente disattesi: e ciò è falso in entrambi i
casi. Infatti non si può dubitare che gli uomini siano uniti in società per
volontà di Dio, sia che si consideri la società stessa nelle sue parti, sia
nella forma che assume l’autorità, sia nello scopo, sia nell’abbondanza
di quei cospicui vantaggi che ne provengono all’uomo. È Dio che ha creato
l’uomo socievole e lo ha posto nel consorzio dei suoi simili, affinché ciò
che secondo natura desiderava e non poteva conseguire da solo, divenisse un
facile acquisto vivendo in società. Perciò è necessario che la società
civile, proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e creatore suo
proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua sovranità. Pertanto, la
giustizia e la ragione vietano che lo Stato sia ateo o che – cadendo di
nuovo nell’ateismo – conceda la stessa desiderata cittadinanza a tutte le
cosiddette religioni, e gli stessi diritti ad ognuna indistintamente.
Dunque,
dal momento che è necessaria la professione di un sola religione nello Stato,
è necessario praticare quella che è unicamente vera e che non è difficile
riconoscere, soprattutto nei Paesi cattolici, per le note di verità che in
essa appaiono suggellate. Conseguentemente i governanti la conservino, la
proteggano, se vogliono provvedere con prudenza e profitto, come devono, alla
comunità dei cittadini. Il potere pubblico è stato costituito per il
vantaggio dei sudditi, e sebbene il suo scopo immediato sia quello di condurre
i cittadini alla felicità della vita che si trascorre in terra, tuttavia non
deve ridurre ma accrescere nell’uomo la facoltà di conseguire quel supremo
ed estremo bene in cui consiste l’eterna felicità degli uomini e a cui non
si può pervenire se si trascura la religione.
Ma
di ciò parlammo più diffusamente altra volta: in questo momento vogliamo
soltanto che ci si renda conto che una siffatta libertà è assai nociva alla
vera libertà, sia dei governanti che dei governati. Giova invece mirabilmente
la religione, in quanto essa riconosce da Dio stesso l’origine del potere, e
severamente ammonisce i sovrani perché siano memori dei loro doveri, perché
non comandino nulla di ingiusto o di crudele, e governino i sudditi
benevolmente e quasi con carità paterna. Essa impone ai cittadini di
sottostare alla legittima potestà, come a ministri di Dio; essa li unisce ai
reggitori dello Stato non solo con l’obbedienza, ma con il rispetto e
l’amore, vietando le sedizioni e tutte quelle imprese che possono turbare
l’ordine e la pubblica tranquillità, e che infine producono l’effetto di
limitare con più stretti vincoli la libertà dei cittadini. Tralasciamo di
dire quanto la religione conduca a buoni costumi, e quanto i buoni costumi
conducano alla libertà. Infatti la ragione dimostra, e la storia conferma,
che le nazioni, quanto più sono morigerate, tanto più prosperano per libertà,
ricchezza e potenza.
Ora
si consideri un poco la libertà di parola e ciò che piace esprimere per
mezzo della stampa. È appena il caso di dire che questa libertà non può
essere un diritto se non è temperata dalla moderazione ed esorbita oltre la
misura. Infatti il diritto è una facoltà morale: come dicemmo e come dovremo
più spesso ridire, è assurdo pensare che essa sia concessa dalla natura in
modo promiscuo e accomunata alla verità e alla menzogna, alla onestà e alla
turpitudine. La verità e l’onestà hanno il diritto di essere propagate
nello Stato con saggezza e libertà, in modo che diventino retaggio comune; le
false opinioni, di cui non esiste peggior peste per la mente, nonché i vizi
che corrompono l’animo e i costumi, devono essere giustamente e severamente
repressi dall’autorità pubblica, perché non si diffondano a danno della
società. Gli abusi dell’ingegno sregolato, che si risolvono in oppressione
delle moltitudini ignoranti, devono essere repressi dall’autorità delle
leggi non meno che le offese recate con la forza ai più deboli. Tanto più
che una gran parte di cittadini non può affatto – o talvolta lo può con
estrema difficoltà – guardarsi dai sofismi e dagli artifici dialettici,
soprattutto se blandiscono le passioni. Concessa a chiunque illimitata libertà
di parola e di stampa, nulla rimarrà d’intatto e d’inviolato; non saranno
neppure risparmiati quei supremi e veritieri principi di natura che sono da
considerare come un comune e nobilissimo patrimonio del genere umano. Così
oscurata a poco a poco la verità dalla tenebre, come spesso accade,
facilmente prenderà il sopravvento il regno dell’errore dannoso e
proteiforme. Perciò quanto più la licenza avrà spazio, tanto maggiore danno
avrà la libertà; tanto più sarà ampia e sicura la libertà, quanto più
efficaci i freni alla licenza. Invero, ove natura non si opponga, è concesso,
su questioni opinabili permesse da Dio alla discussione degli uomini,
esprimere liberamente ciò che piace e ciò che si sente; infatti una tale
libertà non conduce mai gli uomini a conculcare la verità, ma semmai ad
indagarla e a rivelarla.
Su
quella che è chiamata libertà d’insegnamento occorre esprimere un giudizio
non diversamente motivato. È fuor di dubbio che solo la verità deve
informare le menti, poiché in essa sono posti il bene, il fine e la
perfezione degli esseri intelligenti; quindi la dottrina non deve insegnare
altro che la verità, tanto a chi la ignora quanto a chi la conosce, in modo
che al primo rechi la conoscenza del vero, nell’altro la conservi. Per
questo motivo è stretto dovere degli insegnanti svellere l’errore dalle
menti e con validi argomenti sbarrare la via alle opinioni fallaci. Pertanto
appare del tutto contraria alla ragione e predisposta a pervertire totalmente
le menti quella libertà, cui si riferisce il nostro discorso, in quanto essa
pretende per sé il diritto d’insegnare secondo il proprio arbitrio; licenza
che il pubblico potere non può accordare alla società senza venir meno al
proprio dovere. Tanto più che l’autorità dei maestri ha molta influenza
sui discepoli, e raramente l’alunno può giudicare in modo autonomo se sia
vero ciò che il maestro insegna.
Perciò
occorre che anche questa libertà, per essere giusta, sia circoscritta da
precisi confini, affinché non accada impunemente che l’arte di insegnare si
trasformi in veicolo di corruzione. Inoltre la verità, a cui deve unicamente
mirare la dottrina degli insegnanti, è di due specie: naturale o
soprannaturale. Le verità naturali, quali sono i principi di natura e quelli
che da essi la ragione deduce, sono come il patrimonio comune del genere
umano. Su di esso, come su solidissime fondamenta, poggiano la morale, la
giustizia, la religione e la stessa coesione della società umana, e perciò
nulla vi è di tanto empio e di tanto stolidamente inumano, quanto permettere
che quel patrimonio sia violato e dilapidato impunemente. Né va conservato
meno devotamente il prezioso e santissimo tesoro di quelle realtà che
conosciamo per rivelazione divina. Con numerosi e limpidi argomenti che gli
Apologeti usarono spesso, si possono stabilire certi punti essenziali che sono
quelli divinamente rivelati da Dio: l’Unigenito Figlio di Dio si è
incarnato per rendere testimonianza alla verità; da Lui è stata fondata una
società perfetta, quale è la Chiesa, di cui Egli stesso è il capo e con la
quale promise di rimanere fino alla consumazione dei secoli. Tutte le verità
che Egli ha insegnato volle affidate a questa società perché le custodisse,
le difendesse, le divulgasse con legittima autorità; ad un tempo prescrisse a
tutti i popoli di ascoltare la parola della sua Chiesa come fosse la propria:
chi agirà diversamente, si perderà nell’eterna dannazione. Per questo
motivo risulta evidente che Dio è il migliore e più sicuro maestro per
l’uomo, fonte e principio di ogni verità; che l’Unigenito, in unione col
Padre, è la via, la verità, la vita, la vera luce che illumina ogni uomo; al
suo insegnamento devono essere docili tutti gli uomini: "E saranno tutti
discepoli di Dio" (Gv 5,45). Ma Dio stesso volle la Chiesa partecipe del
divino magistero in materia di fede e di morale, rendendola infallibile per
sua divina grazia; perciò la Chiesa è la più alta e sicura maestra dei
mortali e in essa è presente l’inviolabile diritto alla libertà
d’insegnamento. In realtà, vivendo della sapienza di origine divina, la
chiesa nulla ritenne più importante che l’adempiere santamente la missione
a lei affidata da Dio: più forte delle difficoltà che l’assediavano da
ogni lato in nessun momento cessò di combattere per il libero esercizio del
proprio magistero. In questo modo la terra, respinta la miserabile
superstizione, fu rinnovata alla luce della sapienza cristiana. La stessa
ragione insegna chiaramente che le verità rivelate da Dio e le verità
naturali non possono ovviamente essere tra loro contrarie; per questo motivo
deve essere falso tutto ciò che con esse non concorda; perciò il divino
magistero della Chiesa è tanto lontano dall’ostacolare l’impegno di
apprenderei progressi delle scienze o dal ritardare in alcun modo
l’avanzamento di una più civile umanità, ma piuttosto è portatrice
d’intensa luce e di sicura tutela. La stessa Chiesa giova non poco alla
perfezione della libertà umana, avendo presente quella sentenza di Gesù
Cristo Salvatore per cui l’uomo è reso libero dalla verità:
"Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,32).
Pertanto non vi è motivo per cui la vera libertà debba indignarsi o la
scienza degna di questo nome debba dolersi delle leggi giuste e necessarie che
secondo i concordi dettami della Chiesa e della ragione debbono regolare
l’apprendimento umano. Anzi la Chiesa, mentre agisce soprattutto a tutela
della fede cristiana, si adopera altresì per favorire e far progredire ogni
forma di umano sapere, come la realtà stessa dimostra diffusamente. Infatti
è onesto di per sé e lodevole e desiderabile il decoro della cultura;
inoltre l’erudizione che derivi da un sano raziocinio e che corrisponda alla
verità oggettiva, serve non poco ad illuminare quegli articoli di fede in cui
crediamo perché dettati da Dio. Davvero sono dovuti alla Chiesa questi grandi
benefici: l’aver nobilmente conservato i monumenti dell’antica sapienza;
l’aver aperto ovunque istituti scientifici; l’aver sempre incoraggiato il
progresso intellettuale, alimentando con grande zelo quelle stesse arti
medesime per le quali soprattutto si distingue la civiltà contemporanea.
Infine
non si può tacere che un campo immenso si spalanca in cui l’iniziativa e
l’intelligenza degli uomini possono liberamente spaziare ed esercitarsi: cioè
sui temi che non hanno alcun necessario rapporto con i principi di fede e di
morale cristiana o sui quali la Chiesa, senza far uso della sua autorità,
lascia libero e integro il giudizio dei dotti. Da quanto si è detto si
comprende quale sia nella fattispecie quella libertà che con pari ardore
rivendicano e predicano i seguaci del Liberalismo. Per un verso pretendono per
sé e per lo Stato una licenza così eccessiva che non esitano ad aprire un
varco anche alle opinioni più perverse; d’altra parte intralciano in tanti
modi la Chiesa e restringono la sua libertà entro i più angusti limiti, per
quanto è loro possibile, quantunque dalla dottrina della Chiesa non solo non
si deve temere alcun danno ma ci si deve aspettare ogni sorta di benefici.
Inoltre
si predica assiduamente quella che viene chiamata libertà di coscienza; la
quale, se interpretata nel senso che a ciascuno è giustamente lecito, a
piacer suo, di venerare o di non onorare Dio, trova la sua smentita negli
argomenti svolti in precedenza. Ma può avere anche questo significato:
all’uomo è lecito, nel civile consorzio, seguire la volontà e i
comandamenti di Dio secondo coscienza e senza impedimento alcuno. Questa vera
libertà, degna dei figli di Dio, che assai giustamente tutela la dignità
della persona umana, è più forte di qualunque violenza e offesa, ed è
sempre desiderata e soprattutto amata dalla Chiesa. Con costanza, gli Apostoli
rivendicarono per sé una siffatta libertà; gli Apologisti la sancirono con
gli scritti; i Martiri la consacrarono in gran numero col loro sangue. E
meritatamente, in quanto questa libertà cristiana attesta ad un tempo il
supremo e giustissimo potere di Dio sugli uomini e l’assoluto e primario
dovere degli uomini verso Dio. Essa non ha nulla in comune con uno spirito
sedizioso e ribelle, né la si può in alcun modo incolpare di voler sottrarsi
all’ossequio verso il pubblico potere, poiché comandare e pretendere
obbedienza, nella misura che tale diritto appartiene al potere umano, per
nulla contrasta col potere divino e si mantiene nell’ordine voluto da Dio.
Ma quando si danno ordini che palesemente contrastano con la divina volontà,
allora si esce da quella misura e nello stesso tempo si entra in conflitto con
la divina autorità: perciò è giusto non obbedire.
Al
contrario i seguaci del Liberalismo che considerano lo Stato padrone assoluto
e onnipotente, e affermano che la vita deve essere vissuta senza rispetto
alcuno verso Dio, non riconoscono affatto la libertà di cui parliamo,
congiunta a onestà e religione; se si fa qualcosa per conservarla, accusano
di aver agito a danno dello Stato. Se dicessero il vero, esisterebbe una
tirannide così crudele, alla quale non si dovrebbe né sottostare né
ubbidire.
La
Chiesa vorrebbe ardentemente che in tutti gli ordini statali penetrassero e
fossero praticati quegli insegnamenti cristiani di cui abbiamo parlato
sommariamente. Infatti essi sono molto efficaci come rimedio dei mali
dell’età nostra, non pochi né lievi e in gran parte generati da quelle
stesse libertà che con tanta enfasi sono esaltate e nelle quali sembrava di
scorgere semi di salute e di gloria. L’esito ingannò la speranza. Invece di
frutti dolci e salutari ne provennero altri acerbi e avvelenati. Se si cerca
un rimedio, lo si trovi nel ripristino di sane dottrine, dalle quali soltanto
ci si può aspettare con fiducia la conservazione dell’ordine e infine la
tutela della vera libertà. Tuttavia la Chiesa, con intelligenza materna,
considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il corso
degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste
ragioni, senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la
Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla
verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e
preservare un bene. Dio stesso provvidentissimo, infinitamente buono e
potente, consentì tuttavia che nel mondo esistesse il male, in parte perché
non siano esclusi beni più rilevanti, in parte perché non si conseguano mali
maggiori. Nel governo delle nazioni è giusto imitare il Reggitore del mondo:
anzi, non potendo l’umana autorità impedire ogni male, deve "concedere
e lasciare impunite molte cose che invece sono punite giustamente dalla divina
Provvidenza" . Tuttavia, come complemento a quanto detto, se a causa del
bene comune e soltanto per questo motivo la legge degli uomini può o anche
deve tollerare il male, non può né deve approvarlo o volerlo in quanto tale:
infatti il male, essendo di per sé privazione di bene, ripugna al bene comune
che il legislatore, per quanto gli è possibile, deve volere e tutelare. E
anche in questo caso è necessario che la legge umana si proponga di imitare
Dio il quale, nel consentire che il male esista nel mondo "non vuole che
il male si faccia, né vuole che il male non si faccia, ma vuole permettere
che il male si faccia, e questo è bene" . Questa affermazione del
dottore Angelico contiene in sintesi tutta la dottrina sulla tolleranza del
male. Ma bisogna riconoscere, se si vuole giudicare rettamente, che quanto più
in uno Stato è necessario tollerare il male, tanto più questo tipo di Stato
è lontano da una condizione ottimale; così pure, quando si opera secondo i
precetti della prudenza politica, è necessario circoscrivere la tolleranza
dei mali entro i limiti che il motivo – cioè la salute pubblica –
richiede. Perciò, se la tolleranza reca danno alla salute pubblica e procura
mali maggiori allo Stato, ne consegue che non è lecito praticarla, poiché in
tali circostanze viene a mancare il movente del bene. Se poi accade che, per
particolari condizioni dello Stato, la Chiesa si adegui a certe moderne libertà,
non perché le prediliga in quanto tali, ma perché giudica opportuno
permetterle, nel caso che i tempi volgessero al meglio, adotterebbe certamente
la propria libertà e persuadendo, esortando, pregando si dedicherebbe, come
deve, all’adempimento della missione a lei assegnata da Dio, che consiste
nel provvedere all’eterna salute degli uomini. Tuttavia è pur sempre
eternamente vero che codesta libertà di tutti e per tutti non è desiderabile
di per se stessa, come più volte abbiamo detto, poiché ripugna alla ragione
che la menzogna abbia gli stessi diritti della verità. E per quanto riguarda
la tolleranza, sorprende quanto siano distanti dalla equità e dalla prudenza
della Chiesa coloro che professano il Liberalismo. Infatti, con l’assoluta
licenza di concedere tutto ai cittadini, come dicemmo, varcano completamente
la misura e giungono al punto di non attribuire alla onestà e alla verità
maggior valore che alla falsità e alla malvagità. Essi poi accusano di
essere priva di pazienza e di mitezza la Chiesa, colonna e firmamento di verità,
incorrotta maestra di moralità, perché ripudia costantemente, come deve, una
tale dissoluta e perniciosa specie di tolleranza e nega che sia lecito
praticarla; comportandosi in questo modo non si accorgono di trasformare in
colpa ciò che è motivo di encomio. Ma in tanta ostentazione di tolleranza,
di fatto accade spesso che i liberali siano tenacemente restrittivi verso il
cattolicesimo e che prodighi di libertà verso il volgo, rifiutino in molti
casi di lasciar libera la Chiesa.
Ma
ricapitoliamo brevemente tutto il discorso con i suoi corollari, per motivi di
chiarezza: è per necessità suprema che l’uomo si trovi completamente sotto
il vero e perpetuo potere di Dio: perciò non si può affatto concepire la
libertà dell’uomo se non dipendente da Dio e soggetta alla Sua volontà.
Negare in Dio tale sovranità o non assoggettarsi ad essa non è comportamento
di uomo libero, ma di chi abusa della libertà per tradirla; in verità da
tale disposizione d’animo si forma e si realizza il vizio capitale del
Liberalismo. Il quale tuttavia si distingue in molteplici forme: infatti la
volontà, in modo e in grado diversi, può rifiutare l’obbedienza che è
dovuta a Dio o a coloro che sono partecipi del potere divino.
Certamente,
ricusare radicalmente la sovranità del sommo Dio e rifiutargli ogni
obbedienza, sia nella vita pubblica, sia nella vita privata e domestica, è la
massima perversione della libertà come anche la peggiore specie di
Liberalismo: in tale senso deve essere inteso quanto finora abbiamo detto
contro tale dottrina.
Affine
è la concezione di coloro che sono d’accordo sulla necessità di
sottomettersi a Dio, creatore e signore del mondo, in quanto dal suo potere
riceve armonia la natura, però temerariamente ripudiano le leggi della fede e
della morale in quanto non rientrano nella natura ma provengono dall’autorità
di Dio, o almeno – dicono – non vi è alcun motivo di tenerle in
considerazione, soprattutto nella società civile. Abbiamo visto più sopra
quanto costoro siano involti nell’errore e quanto poco siano coerenti con se
stessi. Da questa dottrina, come da una sorgente, deriva la funesta opinione
che la Chiesa deve essere separata dallo Stato; è invece evidente che
entrambi i poteri, dissimili nei doveri e diversi di grado, devono tuttavia
essere tra loro consenzienti nell’agire concorde e nello scambio dei
compiti.
Tale
opinione è soggetta a una duplice interpretazione. Molte persone infatti
vogliono lo Stato totalmente separato dalla Chiesa, in modo che in ogni norma
che regola la convivenza umana, nelle istituzioni, nei costumi, nelle leggi,
negli impieghi statali, nella educazione della gioventù, si debba considerare
la Chiesa come se non esistesse, pur concedendo infine ai singoli cittadini la
facoltà di dedicarsi alla religione in forma privata, se così piace. Contro
costoro vale la forza di tutti gli argomenti coi quali confutammo l’opinione
relativa alla separazione della Chiesa e della società civile, ma con questa
postilla: è assurdo che il cittadino onori la Chiesa e che la società la
disprezzi.
Altri
non contestano che la Chiesa esista, né potrebbero affermare diversamente;
essi tuttavia le negano il carattere e i diritti propri di una società
perfetta e la facoltà di fare le leggi, di giudicare, di punire, ma soltanto
di esortare, persuadere, governare coloro che spontaneamente le si
sottomettono. Pertanto con tale opinione snaturano il carattere di questa
divina società; debilitano e restringono l’autorità, il magistero e tutta
la sua influenza, amplificando al contempo la forza e il potere del principato
civile fino al punto di sottoporre la Chiesa di Dio al dominio e
all’arbitrio dello Stato, come fosse un qualsivoglia associazione volontaria
di cittadini. Per respingere questi argomenti valgono quelli usati dagli
Apologisti e da Noi ricordati particolarmente nell’Enciclica Immortale Dei,
dai quali si evince che, per istituzione divina, alla Chiesa compete tutto
quanto appartiene alla natura e ai diritti di una legittima, suprema e
perfetta società.
Vi
sono molti, infine, che non approvano la separazione della Chiesa dallo Stato,
ma ritengono che la Chiesa debba adeguarsi ai tempi e si pieghi e si adatti a
quelle misure che nella amministrazione degli Stati sono suggerite dalla
moderna avvedutezza. È onesto il parere di costoro, se lo si intende come
ragionevole equità che possa coesistere con la verità e la giustizia: cioè
in modo che la Chiesa, accolta la speranza di qualche gran bene, si mostri
indulgente e conceda ai tempi quanto più le è possibile, fatta salva la
sacralità della sua missione. Ma non è così quando si tratta di fatti e
dottrine che siano introdotte dalla mutazione dei costumi e da fallaci
opinioni. Nessuna epoca può fare a meno della religione, della verità, della
giustizia; Dio ordinò che questi sommi e santissimi beni fossero posti a
tutela della Chiesa e perciò nulla è tanto assurdo quanto pretendere che la
Chiesa ipocritamente accetti sia la falsità che l’ingiustizia, o sia
connivente con ciò che nuoce alla religione.
Da
quanto si è detto consegue che non è assolutamente lecito invocare,
difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola,
d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha
attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi,
sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe
essere limitata da alcuna legge. Ne consegue del pari che queste varie libertà
possono essere tollerate se vi sia un giusto motivo, ma entro certi limiti di
moderazione, in modo che non degenerino nell’arbitrio e nell’arroganza.
Dove infatti vige la consuetudine di queste libertà, i cittadini le
trasformino in facoltà di agire correttamente e di esse abbiano il concetto
medesimo che ne ha la Chiesa. Pertanto ogni libertà è da ritenere legittima
finché procura più frequenti occasioni di onesta condotta, altrimenti no.
Dove
la tirannide opprima o sovrasti in modo tale da sottomettere la cittadinanza
con iniqua violenza, o costringa la Chiesa ad essere priva della dovuta libertà,
è lecito chiedere una diversa organizzazione dello Stato, in cui sia concesso
agire liberamente; in questo caso non si rivendica quella smodata e colpevole
libertà, ma qualche sollievo a vantaggio di tutti e si agisce così solamente
perché non sia impedita la facoltà di comportarsi onestamente là dove si
concede licenza al malaffare.
Inoltre,
non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione
popolare, fatta salva la dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio
del pubblico potere. Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per se stessi
in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla
Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli
Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i
diritti della Chiesa.
È
onesto partecipare alla pubblica amministrazione, a meno che in qualche luogo,
per eccezionali circostanze di tempo e di cose, non venga disposto
diversamente; anzi la Chiesa approva che ognuno dedichi l’opera sua al
comune vantaggio e che con ogni sua iniziativa – nei limiti del possibile
– difenda, consolidi, renda prospero lo Stato. La Chiesa non condanna una
nazione che voglia essere indipendente dallo straniero o da un tiranno, purché
sia salva la giustizia. Infine non rimprovera neppure coloro che propugnano
uno Stato retto da proprie leggi, e una cittadinanza dotata della più ampia
facoltà di accrescere il proprio benessere.
La
Chiesa fu sempre coerente fautrice delle libertà civili, purché non
intemperanti: ne sono validi testimoni le città d’Italia che, attraverso i
Comuni, raggiunsero la prosperità, la ricchezza, la gloria esercitando i
propri diritti, nel tempo in cui la virtù salutare della Chiesa si era
diffusa in ogni parte dello Stato, senza alcun contrasto.
Venerabili
Fratelli, confidiamo che questi concetti, che abbiamo espresso guidati ad un
tempo dalla fede e dalla ragione nell’adempimento del Nostro dovere
apostolico, riescano fruttuosi per molti, soprattutto se coopererete con Noi.
E Noi, nell’umiltà del Nostro cuore, alziamo supplici gli occhi a Dio e con
ardore Lo preghiamo perché voglia benevolmente infondere negli uomini il lume
della sua sapienza e del suo consiglio, in modo che, confortati da queste virtù,
possano distinguere la verità in situazioni così difficili, e di conseguenza
possano vivere in privato, in pubblico, in ogni tempo, con inalterabile
costanza fedeli alla verità. Come auspicio di celesti doni e come
testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e
al popolo a Voi affidato, impartiamo con grande affetto nel Signore
l’Apostolica Benedizione
Dato
a Roma, presso San Pietro, il 20 giugno 1888, nell’anno undecimo del Nostro
Pontificato.
LEONE PP. XIII