venerdì 30 novembre 2012

TORNANDO SULL'ILVA: MA DAVVERO VOGLIAMO CREDERE ALLE "MALEDIZIONI"?



Quando ho saputo della “tromba d’aria” che ha investito gli impianti dell’Ilva di Taranto, mi è corso immediatamente un brivido lungo la schiena.
Non è infatti nell’ordine delle probabilità delle cosiddette “cose normali” che un “fenomeno atmosferico” così devastante vada a colpire, con una precisione millimetrica ed una tempistica cronometrica, proprio la fabbricache in questi giorni sta al centro delle cronache politiche ed economiche italiane.
Ma andiamo per ordine.
L’Ilva è il principale polo siderurgico italiano, ed uno dei principali d’Europa, tanto che l’Italia è seconda solo alla Germania per produzione di acciaio. E quando si parla di acciaio ci si riferisce ad una di quelle “produzioni strategiche” che fanno di una nazione una “potenza”. Una potenza è sovrana, per definizione, se detiene la proprietà e la gestione di settori-chiave quali la moneta, l’esercito, le produzioni strategiche, le comunicazioni e le principali infrastrutture. Per quanto riguarda l’Italia, la parte più rilevante di tutto questo è andata perduta: perprima cosa è andata persa la sovranità territoriale, con l’invasione, prima, e l’insediamento di una rete capillare di basi militari statunitensi, dopo; ma anche la moneta è andata completamente fuori controllo, sin dall’arrivo dei “liberatori” che imposero le loro AM-lire, con l’euro che rappresenta solo il decesso d’un malato terminale; stessa cosa dicasi per le Forze armate, depurate, in una prima fase, degli elementi “patriottici” e riluttanti ad una qualsivoglia “collaborazione”, e progressivamente impiegate per scopi diversi da quelli della “difesa nazionale”, fino alle “missioni di pace”. Per il resto, si tratta di una storia di tentativi di resistere al saccheggio della nazione da parte di uomini dotati del senso dello Stato, contro una nutrita schiera di venduti e felloni che ne han tentate di tutti i colori per svendere, con le scuse più cretine e pretestuose, i “gioielli di famiglia”: l’ultima di queste è il cosiddetto “debito pubblico”, che – si faccia attenzione – anziché diminuire, sta aumentando inesorabilmente, perché questo è il compito di un governo incaricato di trasformare l’Italia in una Repubblica delle banane. Con l’indegno e deprimente vulnus portato ad un altro pilastro della nostra sovranità, quello all’amministrazione della giustizia, poiché non può essere una coincidenza il fatto che, appena qualcheduno ha un timido sussulto di orgoglio nazionale, o quando ci viene imposto lo smantellamento di un settore strategico, le ‘danze’ cominciano sempre col tintinnio di manette…
In molti hanno scritto che dopo la prima devastante fase di “Mani pulite”, questa “Terza Repubblica”, avviata col golpe “tecnico” che ha tolto di mezzo Berlusconi, ha ripreso alla grande il programma di smobilitazione di tutto il patrimonio pubblico dello Stato. È proprio così: un mercato delle vacche, dove al grido di “fare cassa”, e con l’immancabile sostegno degli ideologi da strapazzo del “laissez-faire”, gli uomini giusti stanno ai posti giusti, dalla politica alla magistratura, cosicché ogni fase del ‘banchetto’ è immancabilmente preceduta da “inchieste ad orologeria”, come quella che ha investito i vertici di Finmeccanica prima dell’assalto al colosso industrial-militare italiano. Finmeccanica, Eni, Enel e Ilva, sono difatti i piatti succulenti che gli omuncoli al servizio dell’usura devono prima screditare agli occhi di una “opinione pubblica” per sua natura disinformata e distratta, e poi squartare e regalare ai propri committenti, che in cambio garantiscono laute ricompense ai loro commessi incaricati di dare veste “legale” ad una rapina.
A contorno di questo triste spettacolo, che reclama l’intervento di una specie di Gengis Khan capace d’innalzare cumuli di teste, vi è l’azione o meno in buona fede dei cosiddetti “ambientalisti”, ai quali è demandato il compito di convincere una massa beota con argomenti di facile presa.
Intendiamoci, i disastri ambientali esistono. Ma usiamo la testa. La BP ha combinato un pandemonio di dimensioni colossali nel Golfo del Messico, ma mica per questo smette di lavorare, o meglio non per questo il governo britannico inscena una pantomima, col contorno degli “ambientalisti”, per chiederne la chiusura. Loro i loro interessi li sanno curare. Ma è a noi che impongono di chiudere settori cruciali “per il nostro bene”.
Le tecnologie per rendere “sicure” e meno inquinanti anche le produzioni più a rischio esistono, ma non le si vogliono applicare, tanto si sa che prima o poi si deve chiudere baracca perché così vuole il Badrone. E, come se ciò non bastasse, vi è già pronto chi, dal “dopo” - quando finalmente i… pesci guizzeranno fuori dall’acqua e gli usignoli canteranno alle finestre dei tarantini (!) - trarrà enormi benefici: è più di una diceria la notizia che al posto dell’Ilva sorgerà un’importantissima base navale Usa/Nato, tanto per cambiare.
Ma in questo teatrino che preclude alla chiusura dell’Ilva e all’ulteriore retrocessione dell’Italia tra le ex “potenze industriali”, l’unica preoccupazione pare essere diventata “la tutela dell’ambiente”. Davvero strano, quando i medesimi paladini della vita bucolica non trovano nulla da ridire al riguardo della fonte prima d’inquinamento e delle conseguenti patologie, che è il traffico automobilistico urbano, per tacere della sistematica e capillare irrorazione dei cieli italiani, in specie quelli urbani, con sostanze le più nocive, da parte di aerei senza contrassegno che nessuna “autorità” ha il coraggio di denunciare, fosse solo per il fatto di non farsi identificare dai normali radar!
E così, mentre una nutrita rappresentanza di chi, più prima che poi, si ritroverà senza lavoro (per vedersi “ri-assunto” a condizioni da fame?) si stava mettendo in partenza per Roma, ecco arrivare dal mare un tornado dritto dritto sullo stabilimento tarantino. Risultato: un operaio morto, alcuni feriti, danni ingenti e… manifestazione a Roma annullata!
“Maledizione sull’Ilva”, commentano i soliti “media”.
O c’è, invece, dell’altro che non si può dire? Un sacco di cose non si possono dire quando non hai più uno straccio di sovranità e stanno per darti il colpo di grazia. Si può dire che nel 1945 non siamo stati “liberati”? No, tant’è vero che ogni anno viene inscenata la pantomima della “Liberazione”, e per 365 giorni è un martellamento a senso unico per ammonirci sui “danni” che potremmo fare se solo osassimo rialzare la testa. Si può dire che “si stava meglio quando si stava peggio”? quando bastava uno stipendio solo per far campare dignitosamente  una famiglia? Eh no, bisogna solo “guardare avanti”, essere fiduciosi verso questi traghettatori verso il nulla. Si può dire che la moneta-debito è la più grande truffa mai architettata ai danni di ignare “pecore da tosare”? No, anche quando vi danno l’impressione di concedervi uno spazio: guardate come saltano addosso, tutti uniti appassionatamente (ma “divisi” altrimenti), a chi afferma una verità lapalissiana. Si può dire che le “missioni di pace all’estero” costano una cifra esagerata che non possiamo sostenere e che è semplicemente scandaloso veder morire un sacco di gente per questa follia? Figuriamoci, c’è da combattere “il terrorismo”!
Si può dire, infine, che saremo presumibilmente costretti a declinare le offerte dei cinesi, i quali vedono nel porto di Taranto il principale sbocco commerciale nel Mediterraneo, per destinarlo invece a sede della Sesta flotta a stelle e strisce?
Insomma, siamo ingannati su tutta la linea, senza alcuna eccezione.
Quindi non sorprende constatare che nessun “autorevole media” abbia sollevato il minimo dubbio sul “devastante fenomeno atmosferico” che ha investito l’Ilva di Taranto in un frangente così delicato. Che strano, eppure quando l’uragano “Sandy” ha colpito la costa nord-occidentale degli Stati Uniti, c’è chi ha avanzato l’ipotesi di un “attacco iraniano”
La “geoingegneria” a scopi militari – quando per “militare”, lo si dovrebbe aver compreso, non è più da intendersi uno mero scontro tra eserciti – non me la invento io, ma ne parlano fior di alti ufficiali di ogni Paese ed esperti certo non sospetti di simpatie per ipotesi più o meno “folli” (il cosiddetto “complottismo”).
E può essere sempre una “maledizione” o una “coincidenza”?
Ricordiamoci di cosa è successo a Genova in un momento molto delicato per l’Italia, a livello politico. Riflettiamo sulla nevicata dello scorso inverno, mai vista prima per durata ed intensità, esattamente prima che i “Forconi” e il movimento degli autotrasportatori siciliani attraversasse lo Stretto per risalire verso Roma. Ed infine, ogni tanto, diamo credito alle ammissioni stesse di chi parla di “controllo del tempo atmosferico”.
Alla luce di questa, come di altre “ammissioni”, non è peregrino porsi domande inquietanti sullo “tsunami” che investì l’Indonesia e il Sud-est asiatico nel 2004. E anche qualche altro interrogativo sul terremoto ad Haiti, e, perché no, su quello dell’Aquila: il primo subitamente sfruttato dagli Usa per occupare di fatto l’isola, il secondo per mettere in seria difficoltà un governo che, al di là di tutto quel che si può dire del Cavaliere e della sua “squadra”, stava oggettivamente dando fastidio per la sua “spregiudicatezza” in politica estera ed energetica (ricordiamoci anche come venne trattato Bertolaso dalla Clinton in occasione del terremoto nell’isola caraibica… un Bertolaso poi “fatto fuori” dalla solita ‘storiella a luci rosse’…). Non è lecito inoltre porsi qualche dubbio sugli incendi che devastarono la Grecia, che mentre stipulava un mega-accordo coi cinesi sul porto del Pireo si vedeva piombare sul collo i vampiri dell’usura (i cosiddetti “aiuti”)?
Tutte domande che hanno bisogno di “risposte”, ma non da parte dei “complottisti”, che di queste cose scrivono e parecchio (e vengono pure letti, pensate un po’!), ma da quelle “autorità” e da quelle “istituzioni”, nonché da quegli “enti” preposti a tutelare la salute e l’incolumità dei cittadini, che anche di fronte all’evidenza più solare fanno le classiche orecchie da mercante.
Quindi, prima di parlare di “maledizioni” si pensi bene a cosa ci si riferisce. Perché la vera “maledizione” che ci è toccata è quella di essere governati da una massa di cialtroni, farabutti, traditori e quanto di peggio può esprimere una nazione quando la sua sovranità è solo un pallido ricordo.

Enrico Galoppini

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