martedì 27 marzo 2012

E' COSI CHE CI SIAMO RIDOTTI


LETTERA DI UN IMPRENDITORE

"Caro Beppe, sono un piccolo imprenditore in procinto di dare le dimissioni da me stesso. E' qualcosa che mi pesa, che mi pesa molto. Di notte sento un'oppressione sul petto come se qualcuno fosse seduto sopra di me. Ho una piccola società di servizi, 20 persone. O forse è più corretto dire che è la società che possiede me. Gli ho dedicato 12 ore al giorno per anni. Nei giorni festivi "solo" 4 o 5. Ho resistito fino ad ora un po' per orgoglio e per non mettere in mezzo alla strada una ventina di famiglie. E' dura guardare negli occhi qualcuno che ha cercato di costruire qualcosa insieme a te per anni e dirgli "E' finita!". Non ho mai avuto agevolazioni da questo Stato, ma solo controlli occhiuti, tasse, burocrazia. Ho sempre pagato con regolarità i miei fornitori, se ho sgarrato è stato di qualche settimana, forse un mese nei casi di necessità, ma lo Stato pretende che paghi l'Iva anticipata sulle fatture che emetto e che sono pagate a babbo morto, in qualche caso mai. E cosa puoi fare? Un'azione legale per una fattura non incassata? E quanto ti costa? Se tu hai un debito con lo Stato devi pagare pronta cassa, se invece lo Stato ha un debito con te puoi morire di fame o, come prospetta il ministro Passera, essere pagato con titoli di debito pubblico. Cosa ci faccio? Li do ai bambini per giocarci con le figurine? Pago i miei debiti con il debito dello Stato? I clienti ritardano i pagamenti di mesi, e li capisco. Le banche mi rifiutano un fido per coprire i costi di 2/3 mesi di attività nonostante abbia sempre chiuso i conti con un pareggio o un utile, non un granché ma sempre un utile. A che servono le banche se non supportano le imprese? Per me potrebbero chiudere. Da oltre un anno oltre all'imprenditore faccio quindi anche da banca. Non voglio indebitarmi con degli avvoltoi. Lascio qualunque emolumento mi spetti nella società. Così sono riuscito a pagare gli stipendi (puntualmente!) delle persone che lavorano con me. Mi sono accorto che vivevo come un automa per pagare le tasse al mio socio occulto, lo Stato. Mi sono accorto di lavorare senza remunerazione, in realtà mi finanziavo (!?) l'attività, e che per vivere divoravo il piccolo patrimonio che mi hanno lasciato i miei vecchi dopo una vita di lavoro. Mi sono accorto che passo con la mia famiglia solo ritagli di tempo e mai sereno, ma sempre preoccupato e nervoso per le scadenze, per i contratti. Non sono nato per fare l'eroe. Per ora chiudo la mia piccola azienda e chiedo scusa ai miei colleghi, li ho sempre considerati tali e non dipendenti. Un saluto". 

Massimiliano R.
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Rimane da chiedersi cosa abbiano capito gli italiani di quanto sta accadendo.
Il dramma è che anche coloro che dicono di aver capito non hanno capito affatto. 
Come faccio a sostenerlo? Guardatevi in giro, uscite a fare due passi, parlate con la gente, chiedete a qualcuno che si lamenta cosa sta CONCRETAMENTE facendo (oltre a lamentarsi inutilmente, ovviamente). 
Scoprirete che razza di incubo stiamo vivendo. E siamo solo all'inizio. Il bello (cioè il peggio) deve ancora arrivare. Ma è dietro l'angolo, non ci sarà quindi quindi molto da aspettare. Buona fortuna. 
Ne avremo bisogno.


Elia Menta

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