Sarà capitato ad
alcuni di voi, e comunque vi accadrà mano a mano che ci si avvicina alle
fatidiche elezioni politiche della prossima primavera. Cominciano ad arrivare
messaggi di posta elettronica da parte di questo o quel candidato, il quale,
propinandovi il suo facciotto pulito ed ordinato, invita a votare per lui in
quanto “persona onesta” in grado di “fare del bene”. Nei casi di maggior
autoincensamento, chi vi avvicinerà per chiedere la vostra preferenza vi
prometterà che ci farà “uscire dalla crisi”. Ma un punto caratterizza tutte
queste promesse (da marinaio): la professione di “onestà”. Una sorta di
autocertificazione allo scopo di assicurare l’acquir… ops, l’elettore, che il
candidato in questione è esente da ‘vizi morali’[1].
Questa fregola di
presentarsi come “onesti” fa leva su un aspetto tipico della mentalità moderna
e su un esito inevitabile della vita politica in regime liberaldemocratico.
Da una parte, essendo
progressivamente venuta meno l’intellettualità pura (praticamente scomparsa nel
cosiddetto “Occidente” dal XVIII secolo), sostituita dall’erudizione e
dall’intellettualismo (che attingono entrambi dalla sfera del razionale e della
quantità), non resta che, come metro di giudizio, il moralismo, che attinge
invece dalla sfera dell’irrazionale, e più precisamente da quella della
sentimentalità prodotta dall’“attaccamento” per le cose del mondo[2].
È sotto gli occhi di
tutti come la “politica” – plasticamente fotografata nei notiziari - sia
diventata di fatto la rassegna del malaffare, delle ruberie, degli “scandali”,
il tutto volto a far imbufalire la massa votante contro “gli sprechi”, “i costi
della politica”, “la corruzione”. In breve contro “la casta” dei politici.
Un giorno, presso un
negozio di abbigliamento, mi è capitato di vedere una pubblicità nella quale
una ragazzina redarguiva i politici, incapaci di far fronte alla “crisi”, e per
colpa dei quali il suo papà non può più darle la paghetta! Quando questa
retorica moralizzatrice da quattro soldi raggiunge persino il mondo della
pubblicità, direi che anche un bambino di tre anni può rendersi conto che tutta
questa furia contro “la casta” fa tutt’uno con la proverbiale aria fritta.
Dunque, da una parte
si ha la tendenza a ricondurre ogni questione a parametri moralistici,
specchio di un’ignoranza e di un’incompetenza davvero abissali, sintetizzate
dall’incapacità di comprensione davvero “intellettuale”, dall’altra – dicevo –
esiste un motivo strettamente inerente alla vita politica in regime liberaldemocratico.
Questo, per
funzionare, ritiene debbano essere eletti dei rappresentanti in parlamento. I
quali, secondo la retorica ufficiale, vi siedono per “legiferare” e svolgere
una funzione di controllo sull’operato del governo (questo, soprattutto, lo
dovrebbe fare la cosiddetta“opposizione”). Per fare ciò, sono ben remunerati,
in maniera da prevenire ogni tentativo di corruzione nei loro confronti
(notoriamente, uno povero in canna è maggiormente indotto a vendersi). Quindi,
tanto per essere chiari al riguardo di tutta questa buffonata sui “costi della
politica”, se c’è una voce di spesa che ha un senso, naturalmente entro i
limiti del buon gusto, è quella relativa al compenso per i parlamentari[3].
Ma il politico, in
regime liberaldemocratico non conta un fico secco, perché prima vengono la
finanza e l’economia, e poi la politica. Questo “rappresentante del popolo”,
presentato come un “potente”, è piuttosto il catalizzatore di una serie
indefinita di corposi interessi promossi dai cosiddetti “lobbisti”, faccendieri
che premono sull’uno o sull’altro parlamentare per ottenerne dei favori. In
altre parole, il parlamentare ha il compito di trasformare in “legale” quel che
altrimenti ripugna alla coscienza e contraddice ogni buon senso, imponendo alla
collettività ciò di cui non avrebbe affatto bisogno per vivere bene.
Questa pressione
esercitata da potentati finanziari ed economici comincia già in fase di
campagna elettorale (addirittura nelle “primarie”), ed il caso più esplicito lo
si ha proprio nel “faro della democrazia”, l’America, tanto che là fanno un
vanto di questa spregevole pratica, coi pappagalli nostrani che ripetono a
menadito la filastrocca. Non a caso, si ammette candidamente l’azione dei
“lobbisti” presso il Parlamento Europeo di Strasburgo, come per evidenziarne
l’estrema “modernità” secondo i parametri liberaldemocratici.
Da queste sintetiche
considerazioni si comprende che presentarsi in campagna elettorale come
“onesti”, quand’anche non si fosse già in partenza dei corrotti, è del tutto
vano ed illusorio, poiché per il solo fatto di candidarsi si accettano
implicitamente le regole del gioco della Liberaldemocrazia, nella quale –
ripeto – il politico è subordinato all’economico, e l’economico addirittura al
meramente affaristico e speculativo, come ormai anche i muri più o meno sanno.
“Onesto” ha la stessa
radice di “onore”, e se proprio l’onore è quanto mai una virtù vilipesa e
derisa dai moderni[4], è facile capire che pure l’onestà è
andata a farsi friggere.
In Liberaldemocrazia
dunque non può esistere un politico onesto, col senso dell’onore, semplicemente
perché non ha la possibilità di farlo valere e, qualora lo volesse, verrebbe
prima indotto a cambiare registro, poi, una volta saggiatane la tendenza a non
voler ‘capire’, sarebbe colpito da uno “scandalo”, e come estrema ratio gli
sarebbe riservata l’eliminazione pura e semplice.
Vale praticamente lo
stesso discorso per molti altri ambiti, da quello del giornalismo[5] a quello della professione medica,
con la differenza, non da poco, che mentre in questi altri settori vi è sempre
la possibilità di sfuggire alle “regole del gioco” adottandone altre (con le
fatiche e i rischi del caso)[6], in quello della “politica di professione”
esiste solo un sistema, stante il regime liberaldemocratico. Poiché non si deve
credere che ridursi in qualche gruppetto marginale, “extraparlamentare”, al di
fuori delle istituzioni, sia “fare politica”: quello è puro folclore, in cui è
sin troppo facile atteggiarsi ad onesti, per il fatto che non circola una lira![7]
Una vera politica
onesta, fatta da onesti, non può dunque che passare per il superamento della
Liberaldemocrazia, dell’uomo “moderno” da essa postulato e preteso, e dal
ripristino della primazia del politico rispetto all’economico, per non parlare
del finanziario.
Coloro che legiferano
non dovrebbero pascolare come in una specie di mercato delle vacche in attesa
che qualche lobbista passi a mungerle, ma, consapevoli della loro elevata
funzione, dovrebbero essere uomini che, col senso dell’onore, operano nella
misura in cui serve alla comunità, alla luce di quella sapienza tradizionale
che ci dice che l’uomo, da quando esiste il mondo, è sempre lo stesso.
E se l’uomo è sempre
lo stesso significa che i suoi bisogni profondi non sono mai cambiati. Quindi,
quali benefici può apportargli la Liberaldemocrazia e l’inevitabile interazione
tra politici e lobbisti?
Se la politica fosse
una cosa seria, non esisterebbero né elezioni né partiti. Cosa può capire
dell’interesse generale un “elettore”[8] che per tutta la vita non hai visto
più in là del suo orticello? Com’è possibile praticare il “bene comune” se ci
si presenta divisi in “partiti”?
Queste cose le sa
benissimo chi ha inventato la Liberaldemocrazia: fare in modo che i peggiori
pongano, in un simulacro di “potere”, altri “peggiori” come loro, imbastendo
una gazzarra continua tra fazioni, la cui esistenza, più che uno “spreco”[9], è un delitto contro la concordia che
Iddio vorrebbe che governasse tra gli uomini.
Ma finché uno è
governato dal suo ego non può fare politica, non può reggere le sorti di una
comunità. Questo perché l’egoismo comporta la frammentazione, la dispersione,
la prevalenza delle forze centrifughe, e dunque la discordia.
La lingua araba ci
aiuta non poco nel comprendere la questione. La radice hâ’-kâf-mîm comprende
voci che rimandano all’idea di saggezza, giudizio/arbitrato e governo. Non fa
una piega: solo chi è saggio, chi possiede in sé la sophia (hikma),
ha i titoli per dirimere le vertenze tra gli uomini, dall’alto d’una serenità
olimpica, al di là delle passioni, e pertanto ha le carte in regola per
governare.
Dunque, la questione della
“onestà” di chi governa – oltre che essere irrisolvibile in regime
liberaldemocratico, che induce alla disonestà - è in fin dei conti mal posta.
Al vertice d’una comunità in ordine dovrebbe stare chi è venuto a capo del
proprio ego[10], perché quella è la condizione necessaria
per non farsi trasportare dalla sentimentalità che quello naturalmente
comporta.
Ecco perché un sistema
che vede esseri presi nel loro ego “eleggere” altri che si trovano nella stessa
“irrisolta” condizione non può che produrre una politica all’insegna della
disonestà sistematica. Col triste e farsesco corollario di una “questione morale”,
periodicamente riproposta, che vede una patetica gara a chi si professa più
“onesto” degli altri!
Enrico Galoppini
[1] Il lapsus è
chiaramente voluto: si cerca un voto così come si prova a vendere una merce. I
meccanismi “pubblicitari”, che sfruttano il basilare funzionamento della
psicologia di massa e del subconscio individuale, sono praticamente gli stessi.
[2] Una volta negato il sovrarazionale si
sono poste le basi per il superamento stesso del razionalismo, cosicché oggi si
assiste ad uno scivolamento a rotta di collo verso posizioni ed atteggiamenti
caratterizzati da notevole irrazionalità.
[3] Che, tra l’altro, non sta scritto in
Cielo debbano riunirsi tutti i giorni per “legiferare” affinché diano
l’impressione di lavorare come somari, quando in realtà basterebbero alcune
sessioni in precisi momenti dell’anno, come in effetti fanno in altri Paesi
“avanzati”.
[4] Si pensi all’ironia sui duelli che
fino a meno d’un secolo fa si tenevano per “l’onore offeso”: oggi, si “mette
mano” all’avvocato… col risultato che un poveraccio rinuncia pure a ristabilire
la sua onorabilità.
[5] Giusto pochi giorni fa ho sentito una
“decana del giornalismo” affermare – ad un pubblico adulto! - che “un
giornalista deve sempre raccontare la verità”.
[6] Si consideri il campo della “medicina
naturale” e delle “cure alternative” (Hamer, Di Bella ecc.).
[7] Infatti in quegli ambienti e a quel
livello ci si scanna furiosamente per le idee.
[8] Si pensi allo stravolgimento delle
idee e delle parole che ha colpito anche la parola “eletto”: da che indicava
colui che è scelto, investito, dall’Alto, oggi designa chi prende “la
maggioranza dei voti”!
[9] È questa la critica del liberaldemocratici
spinti: l’antipartitocrazia.
[10] Si tratta del jihâd an-nafs,
la lotta contro il “piccolo sé”, il proprio egoismo e il “satana interiore”.
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