martedì 20 dicembre 2011

La Bce aiuta le banche. E le banche aiutano noi…



Probabile che l’affermazione sia passata inosservata, e già questo la dice lunga sulla pessima abitudine a dare moltissime cose, anzi troppe, per scontate. Dice Draghi: la Bce deve finanziare le banche con misure straordinarie «per dare la possibilità agli istituti di continuare a prestare a imprese e famiglie».
Tecnicamente è corretto. Complessivamente è fuorviante. L’impressione che si cerca di dare, e non è affatto la prima volta, è che le banche siano delle istituzioni quasi solidaristiche le quali, bontà loro, hanno come scopo principale (e massima soddisfazione) la fornitura di denaro a chi ne ha bisogno. O meglio: non tanto a chiunque – tipo lo speculatore che se ne servirà per un’operazione di Borsa, oppure chi è già ricco di suo ma trova vantaggioso farsi anticipare una certa somma e diluirne nel tempo il rimborso – quanto alle «imprese e famiglie». Ovvero, nell’immaginario collettivo, la parte più sana della società. Le famiglie come estensione dell’individuo nella sua sfera personale e affettiva. Le imprese come motore di quell’economia produttiva che è talmente utile da risultare irrinunciabile.
E le stesse banche, quindi, come angeli custodi delle une e delle altre: maestose e tuttavia discrete, equanimi nel giudizio e nondimeno misericordiose nel portare soccorso, circonfuse di luce sovrumana e con appese alle ali, eccezionalmente ampie e robuste, una miriade di sacchetti colmi di monete. O piuttosto di fruscianti bigliettoni. Oppure ancora di documenti che attestino l’apertura di una congrua linea di credito, in ossequio alle recenti disposizioni sulla tracciabilità e alla più generale battaglia per abbandonare il denaro contante in favore di quello elettronico, e virtuale.
Una classica operazione propagandistica. Che per un verso utilizza le stesse tecniche degli spot commerciali, senza peraltro qualificarsi apertamente come messaggio  pubblicitario, e che per l’altro fa leva sull’autorevolezza del personaggio. L’intento, che d’altronde è analogo a quello che si cerca di ottenere anche per la Bce, è di farlo percepire come un soggetto indipendente e super partes. Un uomo delle istituzioni, anziché un esponente di vertice di quel mondo finanziario che è il primo responsabile della crisi tuttora in corso. Non solo un esperto di prim’ordine, cosa che ne fa un Tecnico (con la maiuscola) della medesima, magnifica tempra di un Monti, ma un individuo probo e quanto mai affidabile anche in senso etico. Ergo, il testimonial ideale.
Chiarito il meccanismo comunicativo, o se si preferisce manipolativo, torniamo al contenuto. All’idea delle banche che non vedono l’ora di rendersi utili erogando prestiti a tante brave famiglie e a tanti operosi imprenditori. Non già, come si ostinano a ritenere alcune minoranze palesemente prevenute, a meri fini di lucro, e con metodi che sono già alquanto discutibili nella fase istruttoria e che non di rado diventano brutali in caso di ritardi, o peggio, nella restituzione delle somme dovute. Al contrario: per puro, o prevalente, spirito di collaborazione, come può constatare chiunque abbia necessità di una somma e non disponga di adeguate garanzie…
Draghi torna a raccontarci la versione più edulcorata e fittizia. Quella che confonde l’utilità incidentale e accessoria della funzione creditizia con le motivazioni di chi la svolge. Un conto è che le banche servano anche alla popolazione nel mentre perseguono i loro obiettivi di profitto; ben altro è che tale servizio costituisca una priorità e anteponga i riflessi positivi che può avere sul piano sociale al tornaconto dei banchieri e dei loro soci.
La differenza è decisiva. Perché da un lato ci ricorda che le banche sono degne di una qualche tutela solo rispetto a questo specifico aspetto della loro attività, visto che altrimenti si (s)qualificano come strutture finanziarie di investimento privato, che non vanno certo aiutate ma sorvegliate attentamente, se non addirittura vietate tout court. E perché dall’altro ci spinge a chiederci come mai un settore tanto delicato, e remunerativo, debba essere consegnato nelle mani dei privati, invece che mantenerlo in ambito pubblico o, se non altro, incentivarne la gestione da parte di cooperative ispirate agli autentici principi della mutualità.
È un’intera ottica, a dover essere ribaltata. L’inefficienza dello Stato non è un destino, così come le liberalizzazioni e le privatizzazioni non sono un toccasana. Il vero vizio è nell’egoismo che acceca. E che, proprio come nelle banche, induce a preoccuparsi solo delle cifre. A scapito delle persone. A scapito dei popoli.

Federico Zamboni
20.12.2011

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