don Curzio
Nitoglia
Chi
è l’uomo?
L’uomo è un
composto di anima e corpo; il corpo è lo strumento di cui si serve l’anima per
conoscere ed amare, infatti “nulla si trova nell’intelletto e nell’appetito
razionale, se prima non è passato attraverso i sensi” (Aristotele).
Il corpo
possiede i sensi esterni (vista, tatto, gusto, udito ed odorato), quelli
interni (soprattutto la memoria e l’immaginazione); mentre l’anima ha due
facoltà nobili: l’intelletto per conoscere il vero e rifiutare il falso, la
volontà per amare ciò che è bene e respingere il male.
La ragione
prova con certezza che Dio esiste e che è causa dell’uomo. Partendo dagli effetti
contingenti e finiti, si risale ad un Ente necessario ed infinito che chiamiamo
Dio. Come pure dimostra che l’uomo ha un’anima spirituale, ossia semplice (non estesa
e composta) e perciò incorruttibile ed immortale. Ciò lo si prova a partire
dalle azioni dell’anima: conoscere e volere oggetti immateriali, universali e
spirituali, ad esempio l’onore, la giustizia, la felicità.
Quindi la
nostra ragione ci dimostra - con certezza - che siamo creati da Dio, che siamo
simili a Lui in quanto persone intelligenti e libere e ci insegna anche che il
nostro fine non può consistere in qualcosa di inferiore alla capacità di
conoscere ed amare il sommo Vero e il sommo Bene, ossia Dio; infatti le
ricchezze un giorno dovranno lasciarci, la bellezza
anche, il piacere pure, la gloria e la potenza allo stesso modo. Solo un Ente
infinito ed eterno può soddisfare le esigenze dell’animo umano assetato di
pace, serenità e vera gioia spirituale.
Questo è
l’uomo in astratto, ma quando si scende al concreto, ad esempio Antonio, Marco,
Giovanni, le cose si complicano, poiché “l’individuo è ineffabile” (Aristotele),
non è perfettamente definibile; ma lo si può solo descrivere grazie alle
caratteristiche che appaiono all’esterno. Il suo essere profondo, la sua natura
individuale resta un mistero che solo
Dio conosce. “Il cuore dell’uomo è malvagio ed insondabile, solo Dio penetra
nelle sue profondità” (Ezechiele).
Di qui
possono sorgere dei “problemi”, perché se non ci conosciamo veramente e
profondamente, la nostra serenità relativa in terra, la nostra vita spirituale
e la beatitudine piena in Cielo possono esserne compromesse.
Occorre
dare un senso alla vita
Ricordati
che sei figlio di Dio, “creato a sua immagine e somiglianza” (Genesi),
che hai un fine ed uno scopo ben preciso, quindi non devi essere
schiavo di falsi idoli, che possono distruggerti. Ad esempi umano (o
“timore dei mondani”) che vorrebbe impedirti di fare, parlare, esistere,
diventare in atto ciò che sei in potenza, un beato per tutta
l’eternità.
L’uomo,
intelligente e libero, se è cosciente della sua natura e del suo ruolo, non
deve sminuirsi né vergognarsi mai; solo chi non conosce se stesso ed è schiavo
di pregiudizi può provare vergogna di un “fantasma” che esiste solo nella sua
immaginazione ma non nella realtà.
È
l’immaginazione che “crea” fantasmi che possono condizionare il tuo
comportamento in bene o in male a seconda che le tue immagini o idee siano
positive o negative; sta a te farne buon uso. Cerca di vivere spiritualmente,
ossia facendo discendere tutte le tue immagini o idee, decisioni, comportamenti
e scelte, dalla tua spiritualità di uomo creato da Dio per la felicità eterna
ed infinita del Paradiso.
Le creature
sono solo mezzi utili al conseguimento del fine ultimo, onde ne devi usare
“tanto quanto ti aiutano ad arrivarvi, né più né meno” (S. Ignazio); per cui
devi essere “indifferente nella volontà” di fronte ad esse.
Ciò non
significa essere fatalisti o pigri, ma scegliere o accettare - se la vita ce le
impone - quelle creature che sono più utili, e spesso sono proprio quelle che
tu ami di meno, anzi che temi, a portarti, dopo la sofferenza affrontata, alla
felicità. La sola psicologia (come si vorrebbe oggi) non basta a risolvere i
tuoi problemi, poiché tu non sei solo un ente razionale
fornito di pensiero (o “psiche”), ma sei chiamato a partecipare alla vita
divina, tramite la grazia santificante; sei spirito e solo la spiritualità può
aiutarti pienamente, tanto più che sei ferito dal peccato originale. Inoltre se
il tuo pensiero può ammalarsi (pensieri negativi) il tuo spirito no, a
condizione che la tua sia una vera spiritualità e non un surrogato o una
superstizione, perché allora cadresti nel falso misticismo, che è una delle
aberrazioni più pericolose.
Per vivere
bene è necessario sapere chi siamo, avere uno scopo di vita, cercare di raggiungerlo,
anche se è arduo, senza scoraggiarci di fronte alle nostre deficienze che sono
coessenziali all’essere umano limitato, finito e defettibile per natura. Non
sono i problemi e le difficoltà o gli scacchi ed i fallimenti a rendere pesante
la nostra vita, quanto il significato che noi diamo ad essi. Se li vediamo come
qualcosa di insuperabile, di irrimediabile e definitivo, ci condanniamo da soli
a vivere da disperati, come Caino o Giuda; invece se li vediamo come elementi coessenziali
alla caducità della nostra natura, allora possiamo affrontarli con fiducia e sormontarli
serenamente, con l’aiuto di Dio che ci
conduce, passo dopo passo, per mano, verso il fine per cui ci ha creati.
I
sacerdoti o religiosi in genere, non debbono mai dubitare del
loro fine, della loro vocazione, dell’efficacia delle loro parole, delle loro
preghiere, delle loro azioni. Se nella loro vita entra l’insoddisfazione, la
mancanza di motivazione, la noia, la loro vocazione è in grave pericolo,
proprio a causa della non consapevolezza della grandezza della loro chiamata, del
loro ruolo e della loro missione.
Anche
l’iper-attivismo, l’eresia dell’azione, la mancanza di vita contemplativa,
l’indipendenza dalle regole, la paura del silenzio e della solitudine - non
riempiti da sane attività spirituali, intellettuali e caritative – possono condurli
alla rovina (Dom Chautard).
Bisogna
essere sereni, gioiosi ma mai dissipati; la parola è argento, però il silenzio
è oro, “il silenzio è Gesù Cristo” diceva S. Agostino, inoltre avrai osservato
che abbiamo due orecchie per ascoltare e una sola bocca per parlare...
“Ricordati
che devi morire”
L’animale
non lo sa, molti uomini di oggi fanno finta di non saperlo, vogliono
dimenticarlo, eppure è così per tutti ed occorre accettare questo fatto per
vivere serenamente, per essere equilibrati e maturi psicologicamente, per
ridurre i fantasmi e la paura che potrebbero scuotere la nostra pace interiore ed
il nostro equilibrio. Onde non devi fuggire
le
difficoltà ma viverle e sormontarle accettando la sofferenza che
inevitabilmente le accompagna (la solitudine, le malattie, la morte). Essere
sereno non dipende dal non incontrare inconvenienti o difficoltà (come pretende
la filosofia orientale), questo è impossibile, ma dipende dal tuo modo di
vedere le cose, dal tuo atteggiamento mentale.
Se vedi
tutto alla luce dell’eternità e del tuo fine, le difficoltà restano, ma
divengono sopportabili e
superabili (fanno parte della nostra vita). Perciò non dobbiamo incolpare gli altri
(“maledetto l’uomo che confida nell’uomo” recita il salmo) della nostra
sofferenza; solo noi stessi possiamo renderla insopportabile se la immaginiamo
troppo grande, senza un perché, disgiunta dal nostro fine.
Non
dobbiamo fondarci e appoggiarci sugli altri, siamo noi che dobbiamo vivere la
nostra vita e non farla vivere da un altro, altrimenti ci facciamo schiavi di
qualcuno e rinunciamo alla nostra libertà. Così non dobbiamo aspettarci la
felicità da un altro uomo, ma essa ci sarà data solo se affrontiamo e viviamo
serenamente - senza insofferenza per i nostri limiti - le difficoltà della
vita.
Nessun uomo
può renderti felice senza di te, così come nessuna creatura può darti la
felicità senza la tua capacità di dare un significato alla tua vita, con le sue
luci ed ombre, gioie e dolori.
La
vera personalità
Ogni uomo,
finito e ferito dal peccato originale, ha una personalità non perfetta, deficiente.
La personalità umana perfetta non esiste, tuttavia possiamo acquistarla,
rinunciando ai nostri lati negativi (che con l’esame di coscienza dobbiamo
mettere a nudo, come anche i ricordi depositati nella memoria [oggi la
chiamiamo – erroneamente –
“subconscio o inconscio”] di cui non abbiamo più coscienza esplicita) e
chiedere a Dio di far morire la nostra vecchia indole inferma perchè possa
vivere in noi la personalità del Verbo Incarnato, Gesù Cristo vero Dio e vero
uomo, con tutta la sua perfezione.
Questo è
stato il segreto della vita eroica dei santi che hanno vinto se stessi ed hanno
riprodotto nella loro vita quella di Gesù.
Non
esistono uomini psicologicamente perfetti e assolutamente normali, (solo i
santi, nella misura in cui hanno riprodotto le sembianze del Verbo incarnato
morendo a se stessi, lo sono). Vi sono uomini più o meno normali a seconda del
significato e dello scopo che danno alla loro vita e del lavoro che svolgono
per migliorare se stessi, togliendo da sé ogni disordine, con l’aiuto di Dio.
Essi si
sforzano: di avere uno scopo in ogni loro azione, che li nobiliti e li motivi,
cosicché nulla è impossibile per loro; di
usare ben la loro libertà che è la facoltà che sceglie i mezzi più atti a
cogliere il fine; di agire subito e con coraggio dopo aver preso una
risoluzione ben ponderata; di essere costanti, disciplinati, con volontà ferma
e virile; “nihil violentum durat”, non si può avere tutto e subito, ma
poco a poco si può acquistare qualcosa di importante e non
superficiale.
Le
deficienze di carattere, più che ereditarie sono effetto di una falsa lettura
che noi stessi abbiamo fatto di episodi della nostra infanzia soprattutto, ed
anche della nostra vita adulta (la morte di un familiare, ad esempio). Certo il
codice genetico ha la sua importanza, ma la nostra “forma mentis” il nostro
modo di interpretare gli avvenimenti, le circostanze del nostro passato,
dell’ambiente in cui siamo vissuti, sono ancora più importanti di esso, per lo
sviluppo di una personalità distorta, di una mentalità errata, che rendono
difficile il progresso spirituale.
“La grazia
presuppone la natura, non la distrugge ma la perfeziona” essa è “seme ed inizio
di vita eterna” (S. Tommaso). Ora se la nostra mentalità è incompleta, non
matura, non equilibrata, ne risentirà tutta la nostra vita spirituale.
L’ammiraglio
Nelson diceva: “datemi un gentleman ed io ne farò un ufficiale”. Ossia se
il soggetto è sano ed equilibrato, completo e maturo, potrà diventare un
“ufficiale”, un eroe o un santo. Altrimenti la sua vita spirituale rischia di
essere compromessa da una mentalità e personalità immature, incomplete.
Così non
potrà diventare un “ufficiale” o un santo, poiché non è un gentleman,
ossia un uomo completo, sano e retto.
Quindi, per
avanzare spiritualmente è necessario conoscere noi stessi, con tutti i difetti e
i pregi, per accettare e sormontare i primi ed arricchire i secondi, ma se
chiudiamo gli occhi di fronte alle nostre storture psicologiche non saremo
maturi per vivere spiritual- mente, anzi potremmo essere vittime di deviazioni spirituali
(falso misticismo) che son la cosa più pericolosa che possa capitarci.
I
genitori
È molto
comodo dare la colpa ai genitori di quello che ci succede nella vita, eppure il
genitore ideale, assolutamente perfetto (tranne S. Giuseppe e la Madonna) non
esiste.
Ogni
genitore è una creatura più o meno limitata. Ogni figlio avrà subito dei
“torti” inconsapevoli, così come avrà ricevuto tanto amore (e viceversa). Certo
vi sono casi speciali in cui il genitore, vuoi per morte prematura, vuoi per
malattia, vuoi per immaturità, non è stato un vero educatore del figlio, ma se
il figlio nasce e cresce male è soprattutto perchè ha male interpretato la carenza
del genitore, come fosse un «male assoluto da cui non si esce mai» (una sorta di
Shoah), “un passato che non passa” e che continua a far soffrire; invece
è un male relativo, ingigantito dalla nostra immaginazione o sensibilità
esagerata, e dal quale si può e si deve uscire, pensandovi soltanto per
evitarlo, sormontarlo e non esserne più vittime; cercando di ridurre tutti o la
maggior parte degli ostacoli alla nostra maturità mentale e crescita
spirituale.
La prima
tappa della vita spirituale è chiamata “purgativa” proprio perchè in essa ci si
purga dai difetti di carattere e dai disordini morali. Ora idealizzare il
genitore, o il capo, significa pretendere che essi siano perfetti, mentre solo
Dio lo è; così ci costruiamo nell’immaginazione degli idoli, che se non sono uomini
non sono neppure Dio, non stanno in cielo ma neppure in terra, son sospesi a
mezz’aria e prima o poi cadranno su di noi, facendoci quel male che noi abbiamo permesso
che ci facciano. Occorre vedere e non negare i limiti o gli errori dei propri genitori,
non per criticarli, ma per migliorarci, cercando di non ripeterli. Il passato
non deve paralizzare la nostra vita: per definizione è... “passato”, non esiste
più; il futuro non è ancora, quindi bisogna vivere nel momento presente, senza
vivere nel passato o sognare ad occhi aperti un futuro che non sarà mai come lo
abbiamo immaginato. Bisogna riappacificarsi con il proprio passato, se è stato
negativo, non cancellarlo dalla nostra memoria - sarebbe impossibile e nocivo -
ma trarne insegnamento. “La storia passata è maestra di vita presente”, per
vivere meglio, per vivere il presente senza ripetere gli errori passati. Se
vuoi andare avanti devi capire ed accettare, o meglio farti una ragione degli
errori passati, senza riviverli come “un passato che non passa”.
Non
aver paura, apriti a Cristo
La paura di
non saper affrontare un evento può preoccuparci, come quando eravamo scolaretti
e dovevamo risolvere un problema di
matematica, ma essa non deve diventare paralizzante, altrimenti sarebbe
patologica. Occorre passare all’azione (“sùrgite eàmus” disse
Gesù al Getsemani), scendere nella realtà che è sempre meno brutta di come ce
la rappresentiamo, soprattutto se vista alla luce di un passato difficile che
non vogliamo abbandonare, come se fossimo stati “gli unici” ad aver avuto
un’infanzia difficile, ad aver subito una “catastrofe”, basta con le geremiadi
interminabili.
La paura è
lo spazio che va dal nostro pensiero all’azione; se l’azione viene subito dopo
il pensiero togliamo lo spazio alla paura.
Certo occorre
progettare il futuro, scegliere, decidere ma poi passare all’azione con ferma
decisione, coraggio o speranza di riuscita. Il coraggio è fiducia nel futuro, è
l’esatto contrario della paura che è disperazione di fronte alla vita. La paura
è frutto del nostro scoraggiamento pessimistico, che ci fa vedere tutto alla
luce di un passato spiacevole e riviverlo continuamente, in modo da perpetuare
lo scacco; la paura è matrice degli eventi, e se bussa alla porta bisogna mandare
il coraggio ad aprire di modo che essa non appaia all’uscio ma scompaia.
Una sana
autostima, che non è presunzione, ma verità, in quanto ci fa vedere come creature
e figli di Dio, “nel quale possiamo tutto” (S. Paolo), ci aiuta a vivere con certezza
e fiducia, a bandire la paura e lo scoraggiamento, a non rimandare l’azione. Il
rinviare infatti nasconde una grossa insicurezza interiore, come la pigrizia
che non ci fa affrontare i problemi (equivale a ciò che fa lo struzzo il quale
nasconde la testolina tra la sabbia, lasciando allo scoperto il resto del suo
corpo), è una fuga dalla realtà. Per il cristiano, come per la filosofia del
senso comune, l’uomo non è solo anima (Cartesio) o solo corpo (Marx), ma unione
di anima e corpo. Quest’ultimo non è intrinsecamente cattivo, ma al contrario è
un utile strumento subordinato all’anima, di cui dobbiamo servirci, e non
servirlo come schiavi. Dobbiamo prendercene
ragionevolmente cura affinchè sia efficiente ed in buone condizioni (“mens
sana in corpore sano”), onde è opportuno non fumare e bere alcolici smoderatamente,
non mangiare disordinatamente (“ne uccide più la gola che la spada”;
“bacco, tabacco e venere riducono l’uomo in cenere” dice il proverbio), senza
diventare ipocondriaci o iscriverci all’“esercito della salvezza” (ogni eccesso,
è un difetto).
L’individuo
è eguale a sé e diverso da tutti gli altri
Non solo
occorre aver una sana autostima, ossia fidarsi di sé basandosi sull’aiuto
costante di Dio, ma bisogna fondarla sul fatto che ogni persona è unica,
irripetibile, diversa da tutte le altre; ha inoltre la dignità di sussistere in
una natura razionale e libera, onde ognuno deve essere convinto che è su questa
terra per svolgere un compito che è stato assegnato solo a lui,
per diventare ciò che è in potenza (ultimissimamente un beato del Paradiso con
il suo determinato grado di gloria).
Questo è il
segreto che ogni uomo deve scoprire e vivere: la sua unicità, il suo “scopo prossimo”
su questa terra e il suo “fine ultimo” in Cielo. Allora ognuno si sente
valorizzato, accettato da Dio (è quel che basta) e non teme più l’opinione
degli altri, le critiche, le calunnie. Queste sono solo parole, “soffi che
volano per l’aria e non ci torcono neppure un capello” (Imitazione di Cristo),
se ci fondiamo sulla nostra vera natura di fronte a Dio e a noi stessi;
altrimenti ci travolgono e ci spezzano, perchè viviamo al cospetto degli altri e
ne siamo dipendenti. La loro sentenza diventa una sorta di “giudizio
universale” che ci condanna per sempre; ma non è così.
«Tutti i
turbamenti del cuore – scrive L’Imitazione di Cristo - vengono dal
desiderio smodato di piacere agli uomini e dal timore di dispiacere loro».
Occorre diventare indipendenti dal giudizio degli altri e per far ciò devi
entrare nel profondo, nella “cella” della tua anima (S. Caterina da Siena) e
riflettere su ciò che sei, sul tuo fine, per trascendere le
contingenze umane in un rapporto di conoscenza ed amore reciproco con Dio. Non
devi vedere nel prossimo solo qualcuno che ti è nemico, un avversario da cui è bene
guardarsi, verso il quale devi stare in continua autodifesa, col timore ti
essere giudicato o non apprezzato e di sbagliare; la tua vita diventerebbe un
“inferno”, ti porterebbe all’isolamento (che non è la “beata solitudo, sola
beatitudo” di cui parla S. Agostino) ma la negazione della natura di
animale sociale che ti è propria; ricordati che l’uomo è un animale razionale,
libero e sociale e perciò devi realizzarti e diventare ciò che sei in potenza,
conoscendo il Vero, amando il Bene, in unione con altri uomini, ossia in
società, senza dare ad altri potere su di te (ti renderebbe schiavo), senza far
dipender il tuo stato d’animo dagli altri; vivi insieme agli altri la
tua vita, ma non dipendentemente dagli altri, in maniera servile, ma di fronte
a Dio, trascendendo te stesso e gli altri.
Attenzione
all’invidia
L’invidioso
è un povero “disgraziato”, sofferente, immaturo psicologicamente, che per
affermarsi e sentirsi superiore cerca di render inferiori gli altri, li umilia,
li ferisce, li ridicolizza, li guarda con sufficienza dall’alto in basso
(vittima di un “complesso di superiorità”), li condanna, egli mette a fuoco i
difetti dell’altro, senza considerarlo nella sua totalità (unione di anima e
corpo), come persona umana creata da Dio, con difetti e qualità, ma sempre con
la capacità di rispondere alla chiamata di Dio (che poi è l’essenziale).
L’invidioso
non fa la parte di Dio che chiama a redenzione, ma quella del diavolo che
spinge a disperazione e alla dannazione.
Infatti
l’invidioso vuol metterti in condizione di inferiorità, focalizzando un tuo
difetto e riducendoti solo a quello, vuole minare la tua integrità di animale
razionale e di figlio di Dio. Nel medioevo il diavolo era dipinto col color
giallo o verde (non rosso), poichè è invidioso e geloso che l’uomo possa
salvarsi mentre lui è dannato per sempre. L’invidioso diventa giallo e poi
verde quando è afflitto dalla sua insana passione, come il collerico diventa
nero, il timido arrossisce, il pauroso impallidisce.
Fuggi
l’invidioso: se ti attacca difenditi senza prestare troppa attenzione al tuo
difetto, pensando piuttosto all’insieme della tua persona. D’altronde «Dio
permette che i suoi eletti, per non insuperbirsi, abbiano qualche infermità,
qualche difetto che li umili veramente» (S. Tommaso).
L’unico che
può giudicarti è Dio che non conosce invidia e gelosia ma che è l’Amore stesso
sussistente. Trascenditi entrando in rapporto con Lui, non permettere
all’invidioso di condizionarti, di schiavizzarti, ti distruggerebbe, ti
porterebbe alla disperazione e alla perdizione. Fa il contrario di ciò che
vorrebbe indurti a fare. Serenamente, tranquillamente, ignoralo come un
moscerino “fastidioso” che non vale la pena di essere schiacciato ma solo
scacciato.
Ottimismo
o pessimismo?
Il
pessimismo afferma la vittoria del male sul bene, esso si oppone all’ottimismo
non perchè neghi l’esistenza del bene ma solo in quanto afferma la
preponderanza del male sul bene (al contrario, l’ottimismo). Se l’essere coincide
col bene si può teorizzare un ottimismo radicale, mentre il male essendo privazione
(di bene) non può essere assolutizzato, lo si
negherebbe totalmente. Tu sai che la natura, l’essere è qualcosa di positivo, addirittura
la tua anima è “immagine e somiglianza” del Signore (se vivi in grazia di Dio).
Tuttavia il peccato originale ci pone in uno stato di lotta continua, contro il
demonio, i mondani e la triplice concupiscenza (orgoglio, avarizia e lussuria)
che alberga in noi. Sei sottoposto alla sofferenza e alla morte, ma
l’intelligenza e la volontà hanno conservato la capacità di conoscere il vero e
rifiutare l’errore, di amare il bene e odiare il male. Inoltre Dio si è
incarnato per noi, per la nostra salvezza e dà a ciascuno la grazia sufficiente
a salvarsi. Perciò, nell’ottica cristiana, l’ottimismo prevale sul pessimismo, anche
se l’uomo ferito dal peccato di Adamo è più incline a fare il male che il bene,
poichè è più proclive a seguire i sensi (la sua parte animale) che la retta
ragione e la fede (la sua parte razionale e spirituale). Ma tu sai che
l’esistenza terrena, anche se irta e difficile, deve preparare quella eterna.
Infine la vittoria assoluta e definitiva dell’ottimismo si fonda
sulla libertà individuale, sull’immortalità dell’anima individuale e sulla Provvidenza
di Dio che ci guida per mano, passo passo, durante la nostra vita travagliata, al
regno dei Cieli.
Tuttavia se
l’uomo è libero può anche peccare, se l’anima è immortale può andare
all’inferno per sempre, se Dio è Provvidenza l’uomo può rifiutarla; ma
occorre che tu sappia che la speranza di usar bene la tua libertà, di salvarti
ed andare in Cielo a ringraziare la divina Provvidenza, è una “certezza di
tendenza”. Faccio un esempio, quando prendo l’automobile, il treno o l’aereo
per andare a
Palermo, ho la speranza o certezza di tendenza verso il traguardo, mentre
reputo solo remotamente possibile che non vi giunga, per
incidente, malessere, sciopero.
Ora l’uomo
normale per agire non prende in considerazione le possibilità remote ed
eccezionali, altrimenti non si muoverebbe più (è possibile che alzandomi dal letto
scivoli e cada per terra, rompendomi l’osso del collo, ma non lo prendo in
considerazione, altrimenti impazzirei). Sono certo di tendere ed arrivare a
vestirmi e presentarmi al lavoro.
Così è per
la vita, spero e sono certo di tendere e di giungere al traguardo, una buona e santa
morte in grazia di Dio e il Paradiso.
Per cui in
definitiva è l’ottimismo che prevale sul pessimismo, la speranza sulla
disperazione, l’essere sul possibile, il certo sull’incerto.
È pur vero
che nell’ordine soprannaturale sono pochi a riuscire a cogliere il fine per loro
“accidia” e non per “malvagità” di Dio (S. Tommaso). Tuttavia se vuoi
sinceramente salvarti e unirti a Dio, abbi fiducia nella sua onnipotenza soccorritrice
e certamente ti salverai. Non è una certezza assoluta ma di tendenza
o speranza e la speranza è un’àncora, forte, stabile e stabilizzante.
«Nulla mi
può spaventare, se Tu sei con me, o Signore, e Tu sempre lo sarai, finché io speri
in Te. Così io mi sento al riparo da tutte le disgrazie... Perciò son risoluto
di vivere senza preoccupazioni o turbamento, e di gettare nel Tuo cuore paterno
tutte le mie pene... Questa fiducia in Te non ha mai ingannato nessuno.
Dunque io
sono sicuro che sarò eternamente felice, perché fermamente spero di esserlo, e
perché sei Tu, o mio Dio, quegli da cui lo spero» (Beato Claude de la
Colombière).
Occorre
perciò che tu indebolisca i tuoi pensieri negativi o “neri”, per rafforzare, con
equilibrio, quelli positivi; cerca di veder il lato bello di tutte le cose,
anche le più atroci (pensa alla morte in croce di Gesù: umanamente parlando è scoraggiante,
deprimente, invece vista con l’occhio della fede è la salvezza del genere
umano). Cerca di allenare il tuo cuore al sorriso, alla serenità in qualsiasi
circostanza, soprattutto le più drammatiche, questo ti aiuterà anche se gli avvenimenti
esterni sono tristi, il tuo interno deve sempre restare sereno, fiducioso nell’aiuto
di Dio, propenso a dargli ragione; anche se nell’immediato non capiamo perché ci
mandi quelle prove (pensa a Gesù che nasce in una stalla, al freddo e al gelo,
senza che la Madonna e S. Giuseppe si lamentino, si preoccupino, sereni e
fiduciosi nell’aiuto di Dio) conserviamo la fiducia in Lui.
Un po’ di
auto-ironia non guasta, non prenderti troppo sul serio, non fare il “voto di
serietà”, come i calvinisti e i mormoni. Il diavolo è sempre triste perché è
dannato per tutta l’eternità, ma tu che sei ancora vivo hai la possibilità
reale di salvarti, Dio ti ha creato per questo, onde «un santo triste è un
triste... “santo”» (S. Filippo Neri).
Ridi di
cuore e risolverai molti problemi. Ti racconto un esempio. Una mia zia ebbe una
vita molto travagliata, ma un carattere molto forte. Tra le tante disgrazie vi
fu il fallimento del ricco marito. L’ufficiale giudiziario che si era recato a
compiere il pignoramento dei mobili (qualche giorno dopo la morte della unica
figlia ventenne), le fece una proposta sconcia; mia zia scoppiò in una gran
risata, l’ufficiale... scomparve e mia zia sapeva riderne ancora in vecchiaia,
nonostante le avversità che l’accompagnarono nel resto della sua vita ed anche post
mortem.
Sii
più maturo per poter crescere spiritualmente
La vita
spirituale, come ogni vita, implica crescita, sviluppo, maturazione, e questa
si svolge in un incontro continuo tra grazia divina (spirituale) e risposta
umana (ossia offerta e prodotta da intelletto e volontà). La crescita
spirituale si realizza utilizzando i processi mentali della persona: Occorre non
disgiungere l’antropologia o psicologia dalla spiritualità, dacché la grazia edotta
da Dio a partire dalla potenza dell’anima umana, poi perfeziona la razionalità e
la libertà dell’uomo (S. Tommaso).
I disturbi
e l’immaturità del pensiero umano possono impedire la sana crescita spirituale
in quanto possono comportare una dissociazione
dalla realtà e una fuga in un mondo immaginario. In un certo senso la santità
consiste nel recuperare lo stato di “giustizia originale”, in cui si raggiunge
l’integrità o rapporto pieno e maturo tra corpo e anima e la piena
sottomissione del corpo allo spirito. Tuttavia non bisogna idealizzare troppo
ed esagerare (sarebbe l’errore per eccesso, una sorta di
naturalismo pelagiano); asserendo che solo le persone psicologicamente e
fisicamente perfette possono svilupparsi spiritualmente, si correrebbe il
rischio di demoralizzare, nel cammino spirituale, i soggetti psicologicamente
limitati, mentre abbiamo esempi di santi affetti da anomalie psicologiche (S.
Teresina, Pio IX, Liebermann, S. Paolo Apostolo), sormontate con l’aiuto di Dio
e l’impegno ascetico. “Il mondo è bello perchè è vario” e “lo Spirito soffia dove vuole”
(Vangelo), “ogni spirito loda il Signore”.
Non mi
sembra neppure di poter dire che il progresso della vita spirituale necessiti assolutamente
di un abbassamento della natura umana, onde solo i “deboli” sono privilegiati da
Dio, significherebbe confondere l’eccezione con la regola (è l’errore per
difetto, una sorta di religione dei deboli per essenza, che conduce ad un
soprannaturalismo esagerato e falso).
La verità
si trova in medio et cùlmen tra queste due concezioni che non si
escludono a vicenda, ma debbono integrarsi, dacché una sola teoria spiega solo
parzialmente il problema e quindi non lo risolve.
Lo sviluppo
umano comporta una crescita fisica ed un progresso cosciente e libero.
Così la
crescita spirituale presuppone:
a)
lo sviluppo conoscitivo:
che
permette al soggetto di conoscere sempre meglio il sovrannaturale per amarlo sempre
di più (“nihil volitum nisi praecognitum”, Aristotele);
b)
lo sviluppo morale:
la fede
senza le opere è morta;
c)
lo sviluppo affettivo-emotivo:
che risente
dell’infanzia e del rapporto coi genitori del soggetto. I parenti
psicologicamente maturi e forti possono favorire nel soggetto l’ottimismo, il
realismo, il buon senso, la fiducia, l’altruismo, il coraggio di agire, che pur
non essendo di per sé qualità spirituali, favoriscono comunque una sana vita
spirituale; mentre quelli immaturi normalmente trasferiscono le loro
problematiche ed insicurezze affettivo-emozionali sui figli, i quali possono
correggersi con lo sforzo ascetico e la grazia divina. Essi non sono determinati
o necessitati ma inclinati ad un comportamento non completo dal quale possono
uscire se vogliono.
d)
lo sviluppo sociale:
non è
adattamento passivo all’ambiente, alla moda, al conformismo, ma apertura
intelligente, saggia e prudente; riconoscimento del valore altrui, alla
comprensione dei difetti e pregi di ogni creatura e alla possibilità di
redenzione insita in ciascuno che non si ostini di vivere nel passato e di
resistere alla grazia.
«La prima
via purgativa dello sviluppo spirituale o vita ascetica, corrisponde –
grosso modo - alla pubertà, i 12-14 anni, in cui l’essere umano comincia
a svilupparsi fisiologicamente e psicologicamente, ed inizia a diventare un
uomo atto a generare, cessando di essere un bambino;
la seconda
via illuminativa o mistica iniziale, corrisponde all’adolescenza, in
cui si continua a crescere dalla pubertà e si tende alla maturità, dai 15 ai 20
anni;
la terza
via unitiva o mistica perfetta, corrisponde alla maturità dell’adulto,
che ha completato lo sviluppo e si trova nella maturità fisiologica e
psicologica; è cresciuto negli anni, possiede un certo grado di discernimento, di
prudenza, di giudizio e di equilibrio, ossia è giunto al pieno sviluppo delle potenze
intellettuali e morali, al compimento e perfezione. Essa è imperfetta dai
21 ai 35 anni e perfetta dopo i 35 anni» (Garrigou- Lagrange).
La
spiritualità comporta tutti questi elementi (conoscenza e amore di Dio, di sé e
del prossimo, ossia sana vita morale individuale e sociale). È errato
misconoscere il sano sviluppo della sfera affettiva nel cammino spirituale, che
è acquisito nelle prime esperienze familiari e che ci permette di controllare più
facilmente le nostre reazioni, modificare e
correggere i sentimenti negativi (sfiducia, disistima, indegnità, vergogna,
senso di colpa, paura). Questi hanno origini lontane, sono sepolti nella
nostra, memoria anche se non ne abbiamo piena coscienza attuale ed esplicita, e
possono influire sulla nostra vita individuale e sociale. I difetti dovuti ad una
carente sfera affettiva possono essere corretti con la direzione spirituale,
l’esame di coscienza, la meditazione, la conoscenza di sé e soprattutto la
fiducia in Dio.
TRATTO dalla rivista Sodalitium
Ecco cosa è per quello che ho visto io con sperimentazioni anche con altre persone "Anima": :(
RispondiEliminahttp://truerevolutionow.blogspot.it/p/premessa-quante-volte-ho-sentito-e.html