lunedì 7 aprile 2014

CONOSCI TE STESSO E DIVENTA CIÒ CHE SEI



don Curzio Nitoglia

Chi è l’uomo?
L’uomo è un composto di anima e corpo; il corpo è lo strumento di cui si serve l’anima per conoscere ed amare, infatti “nulla si trova nell’intelletto e nell’appetito razionale, se prima non è passato attraverso i sensi” (Aristotele).
Il corpo possiede i sensi esterni (vista, tatto, gusto, udito ed odorato), quelli interni (soprattutto la memoria e l’immaginazione); mentre l’anima ha due facoltà nobili: l’intelletto per conoscere il vero e rifiutare il falso, la volontà per amare ciò che è bene e respingere il male.
La ragione prova con certezza che Dio esiste e che è causa dell’uomo. Partendo dagli effetti contingenti e finiti, si risale ad un Ente necessario ed infinito che chiamiamo Dio. Come pure dimostra che l’uomo ha un’anima spirituale, ossia semplice (non estesa e composta) e perciò incorruttibile ed immortale. Ciò lo si prova a partire dalle azioni dell’anima: conoscere e volere oggetti immateriali, universali e spirituali, ad esempio l’onore, la giustizia, la felicità.
Quindi la nostra ragione ci dimostra - con certezza - che siamo creati da Dio, che siamo simili a Lui in quanto persone intelligenti e libere e ci insegna anche che il nostro fine non può consistere in qualcosa di inferiore alla capacità di conoscere ed amare il sommo Vero e il sommo Bene, ossia Dio; infatti le ricchezze un giorno dovranno lasciarci, la bellezza anche, il piacere pure, la gloria e la potenza allo stesso modo. Solo un Ente infinito ed eterno può soddisfare le esigenze dell’animo umano assetato di pace, serenità e vera gioia spirituale.
Questo è l’uomo in astratto, ma quando si scende al concreto, ad esempio Antonio, Marco, Giovanni, le cose si complicano, poiché “l’individuo è ineffabile” (Aristotele), non è perfettamente definibile; ma lo si può solo descrivere grazie alle caratteristiche che appaiono all’esterno. Il suo essere profondo, la sua natura individuale resta un mistero che solo Dio conosce. “Il cuore dell’uomo è malvagio ed insondabile, solo Dio penetra nelle sue profondità” (Ezechiele).
Di qui possono sorgere dei “problemi”, perché se non ci conosciamo veramente e profondamente, la nostra serenità relativa in terra, la nostra vita spirituale e la beatitudine piena in Cielo possono esserne compromesse.

Occorre dare un senso alla vita
Ricordati che sei figlio di Dio, “creato a sua immagine e somiglianza” (Genesi), che hai un fine ed uno scopo ben preciso, quindi non devi essere schiavo di falsi idoli, che possono distruggerti. Ad esempi umano (o “timore dei mondani”) che vorrebbe impedirti di fare, parlare, esistere, diventare in atto ciò che sei in potenza, un beato per tutta l’eternità.
L’uomo, intelligente e libero, se è cosciente della sua natura e del suo ruolo, non deve sminuirsi né vergognarsi mai; solo chi non conosce se stesso ed è schiavo di pregiudizi può provare vergogna di un “fantasma” che esiste solo nella sua immaginazione ma non nella realtà.
È l’immaginazione che “crea” fantasmi che possono condizionare il tuo comportamento in bene o in male a seconda che le tue immagini o idee siano positive o negative; sta a te farne buon uso. Cerca di vivere spiritualmente, ossia facendo discendere tutte le tue immagini o idee, decisioni, comportamenti e scelte, dalla tua spiritualità di uomo creato da Dio per la felicità eterna ed infinita del Paradiso.
Le creature sono solo mezzi utili al conseguimento del fine ultimo, onde ne devi usare “tanto quanto ti aiutano ad arrivarvi, né più né meno” (S. Ignazio); per cui devi essere “indifferente nella volontà” di fronte ad esse.
Ciò non significa essere fatalisti o pigri, ma scegliere o accettare - se la vita ce le impone - quelle creature che sono più utili, e spesso sono proprio quelle che tu ami di meno, anzi che temi, a portarti, dopo la sofferenza affrontata, alla felicità. La sola psicologia (come si vorrebbe oggi) non basta a risolvere i tuoi problemi, poiché tu non sei solo un ente razionale fornito di pensiero (o “psiche”), ma sei chiamato a partecipare alla vita divina, tramite la grazia santificante; sei spirito e solo la spiritualità può aiutarti pienamente, tanto più che sei ferito dal peccato originale. Inoltre se il tuo pensiero può ammalarsi (pensieri negativi) il tuo spirito no, a condizione che la tua sia una vera spiritualità e non un surrogato o una superstizione, perché allora cadresti nel falso misticismo, che è una delle aberrazioni più pericolose.
Per vivere bene è necessario sapere chi siamo, avere uno scopo di vita, cercare di raggiungerlo, anche se è arduo, senza scoraggiarci di fronte alle nostre deficienze che sono coessenziali all’essere umano limitato, finito e defettibile per natura. Non sono i problemi e le difficoltà o gli scacchi ed i fallimenti a rendere pesante la nostra vita, quanto il significato che noi diamo ad essi. Se li vediamo come qualcosa di insuperabile, di irrimediabile e definitivo, ci condanniamo da soli a vivere da disperati, come Caino o Giuda; invece se li vediamo come elementi coessenziali alla caducità della nostra natura, allora possiamo affrontarli con fiducia e sormontarli serenamente, con l’aiuto di Dio che ci conduce, passo dopo passo, per mano, verso il fine per cui ci ha creati.

I sacerdoti o religiosi in genere, non debbono mai dubitare del loro fine, della loro vocazione, dell’efficacia delle loro parole, delle loro preghiere, delle loro azioni. Se nella loro vita entra l’insoddisfazione, la mancanza di motivazione, la noia, la loro vocazione è in grave pericolo, proprio a causa della non consapevolezza della grandezza della loro chiamata, del loro ruolo e della loro missione.
Anche l’iper-attivismo, l’eresia dell’azione, la mancanza di vita contemplativa, l’indipendenza dalle regole, la paura del silenzio e della solitudine - non riempiti da sane attività spirituali, intellettuali e caritative – possono condurli alla rovina (Dom Chautard).

Bisogna essere sereni, gioiosi ma mai dissipati; la parola è argento, però il silenzio è oro, “il silenzio è Gesù Cristo” diceva S. Agostino, inoltre avrai osservato che abbiamo due orecchie per ascoltare e una sola bocca per parlare...

“Ricordati che devi morire”
L’animale non lo sa, molti uomini di oggi fanno finta di non saperlo, vogliono dimenticarlo, eppure è così per tutti ed occorre accettare questo fatto per vivere serenamente, per essere equilibrati e maturi psicologicamente, per ridurre i fantasmi e la paura che potrebbero scuotere la nostra pace interiore ed il nostro equilibrio. Onde non devi fuggire
le difficoltà ma viverle e sormontarle accettando la sofferenza che inevitabilmente le accompagna (la solitudine, le malattie, la morte). Essere sereno non dipende dal non incontrare inconvenienti o difficoltà (come pretende la filosofia orientale), questo è impossibile, ma dipende dal tuo modo di vedere le cose, dal tuo atteggiamento mentale.
Se vedi tutto alla luce dell’eternità e del tuo fine, le difficoltà restano, ma divengono sopportabili e superabili (fanno parte della nostra vita). Perciò non dobbiamo incolpare gli altri (“maledetto l’uomo che confida nell’uomo” recita il salmo) della nostra sofferenza; solo noi stessi possiamo renderla insopportabile se la immaginiamo troppo grande, senza un perché, disgiunta dal nostro fine.
Non dobbiamo fondarci e appoggiarci sugli altri, siamo noi che dobbiamo vivere la nostra vita e non farla vivere da un altro, altrimenti ci facciamo schiavi di qualcuno e rinunciamo alla nostra libertà. Così non dobbiamo aspettarci la felicità da un altro uomo, ma essa ci sarà data solo se affrontiamo e viviamo serenamente - senza insofferenza per i nostri limiti - le difficoltà della vita.
Nessun uomo può renderti felice senza di te, così come nessuna creatura può darti la felicità senza la tua capacità di dare un significato alla tua vita, con le sue luci ed ombre, gioie e dolori.

La vera personalità
Ogni uomo, finito e ferito dal peccato originale, ha una personalità non perfetta, deficiente. La personalità umana perfetta non esiste, tuttavia possiamo acquistarla, rinunciando ai nostri lati negativi (che con l’esame di coscienza dobbiamo mettere a nudo, come anche i ricordi depositati nella memoria [oggi la chiamiamo – erroneamente – “subconscio o inconscio”] di cui non abbiamo più coscienza esplicita) e chiedere a Dio di far morire la nostra vecchia indole inferma perchè possa vivere in noi la personalità del Verbo Incarnato, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, con tutta la sua perfezione.
Questo è stato il segreto della vita eroica dei santi che hanno vinto se stessi ed hanno riprodotto nella loro vita quella di Gesù.
Non esistono uomini psicologicamente perfetti e assolutamente normali, (solo i santi, nella misura in cui hanno riprodotto le sembianze del Verbo incarnato morendo a se stessi, lo sono). Vi sono uomini più o meno normali a seconda del significato e dello scopo che danno alla loro vita e del lavoro che svolgono per migliorare se stessi, togliendo da sé ogni disordine, con l’aiuto di Dio.
Essi si sforzano: di avere uno scopo in ogni loro azione, che li nobiliti e li motivi, cosicché nulla è impossibile per loro; di usare ben la loro libertà che è la facoltà che sceglie i mezzi più atti a cogliere il fine; di agire subito e con coraggio dopo aver preso una risoluzione ben ponderata; di essere costanti, disciplinati, con volontà ferma e virile; “nihil violentum durat”, non si può avere tutto e subito, ma poco a poco si può acquistare qualcosa di importante e non superficiale.

Le deficienze di carattere, più che ereditarie sono effetto di una falsa lettura che noi stessi abbiamo fatto di episodi della nostra infanzia soprattutto, ed anche della nostra vita adulta (la morte di un familiare, ad esempio). Certo il codice genetico ha la sua importanza, ma la nostra “forma mentis” il nostro modo di interpretare gli avvenimenti, le circostanze del nostro passato, dell’ambiente in cui siamo vissuti, sono ancora più importanti di esso, per lo sviluppo di una personalità distorta, di una mentalità errata, che rendono difficile il progresso spirituale.
“La grazia presuppone la natura, non la distrugge ma la perfeziona” essa è “seme ed inizio di vita eterna” (S. Tommaso). Ora se la nostra mentalità è incompleta, non matura, non equilibrata, ne risentirà tutta la nostra vita spirituale.
L’ammiraglio Nelson diceva: “datemi un gentleman ed io ne farò un ufficiale”. Ossia se il soggetto è sano ed equilibrato, completo e maturo, potrà diventare un “ufficiale”, un eroe o un santo. Altrimenti la sua vita spirituale rischia di essere compromessa da una mentalità e personalità immature, incomplete.
Così non potrà diventare un “ufficiale” o un santo, poiché non è un gentleman, ossia un uomo completo, sano e retto.
Quindi, per avanzare spiritualmente è necessario conoscere noi stessi, con tutti i difetti e i pregi, per accettare e sormontare i primi ed arricchire i secondi, ma se chiudiamo gli occhi di fronte alle nostre storture psicologiche non saremo maturi per vivere spiritual- mente, anzi potremmo essere vittime di deviazioni spirituali (falso misticismo) che son la cosa più pericolosa che possa capitarci.

I genitori
È molto comodo dare la colpa ai genitori di quello che ci succede nella vita, eppure il genitore ideale, assolutamente perfetto (tranne S. Giuseppe e la Madonna) non esiste.
Ogni genitore è una creatura più o meno limitata. Ogni figlio avrà subito dei “torti” inconsapevoli, così come avrà ricevuto tanto amore (e viceversa). Certo vi sono casi speciali in cui il genitore, vuoi per morte prematura, vuoi per malattia, vuoi per immaturità, non è stato un vero educatore del figlio, ma se il figlio nasce e cresce male è soprattutto perchè ha male interpretato la carenza del genitore, come fosse un «male assoluto da cui non si esce mai» (una sorta di Shoah), “un passato che non passa” e che continua a far soffrire; invece è un male relativo, ingigantito dalla nostra immaginazione o sensibilità esagerata, e dal quale si può e si deve uscire, pensandovi soltanto per evitarlo, sormontarlo e non esserne più vittime; cercando di ridurre tutti o la maggior parte degli ostacoli alla nostra maturità mentale e crescita spirituale.

La prima tappa della vita spirituale è chiamata “purgativa” proprio perchè in essa ci si purga dai difetti di carattere e dai disordini morali. Ora idealizzare il genitore, o il capo, significa pretendere che essi siano perfetti, mentre solo Dio lo è; così ci costruiamo nell’immaginazione degli idoli, che se non sono uomini non sono neppure Dio, non stanno in cielo ma neppure in terra, son sospesi a mezz’aria e prima o poi cadranno su di noi, facendoci quel male che noi abbiamo permesso che ci facciano. Occorre vedere e non negare i limiti o gli errori dei propri genitori, non per criticarli, ma per migliorarci, cercando di non ripeterli. Il passato non deve paralizzare la nostra vita: per definizione è... “passato”, non esiste più; il futuro non è ancora, quindi bisogna vivere nel momento presente, senza vivere nel passato o sognare ad occhi aperti un futuro che non sarà mai come lo abbiamo immaginato. Bisogna riappacificarsi con il proprio passato, se è stato negativo, non cancellarlo dalla nostra memoria - sarebbe impossibile e nocivo - ma trarne insegnamento. “La storia passata è maestra di vita presente”, per vivere meglio, per vivere il presente senza ripetere gli errori passati. Se vuoi andare avanti devi capire ed accettare, o meglio farti una ragione degli errori passati, senza riviverli come “un passato che non passa”.

Non aver paura, apriti a Cristo
La paura di non saper affrontare un evento può preoccuparci, come quando eravamo scolaretti e dovevamo risolvere un problema di matematica, ma essa non deve diventare paralizzante, altrimenti sarebbe patologica. Occorre passare all’azione (“sùrgite eàmus” disse Gesù al Getsemani), scendere nella realtà che è sempre meno brutta di come ce la rappresentiamo, soprattutto se vista alla luce di un passato difficile che non vogliamo abbandonare, come se fossimo stati “gli unici” ad aver avuto un’infanzia difficile, ad aver subito una “catastrofe”, basta con le geremiadi interminabili.
La paura è lo spazio che va dal nostro pensiero all’azione; se l’azione viene subito dopo il pensiero togliamo lo spazio alla paura.
Certo occorre progettare il futuro, scegliere, decidere ma poi passare all’azione con ferma decisione, coraggio o speranza di riuscita. Il coraggio è fiducia nel futuro, è l’esatto contrario della paura che è disperazione di fronte alla vita. La paura è frutto del nostro scoraggiamento pessimistico, che ci fa vedere tutto alla luce di un passato spiacevole e riviverlo continuamente, in modo da perpetuare lo scacco; la paura è matrice degli eventi, e se bussa alla porta bisogna mandare il coraggio ad aprire di modo che essa non appaia all’uscio ma scompaia.
Una sana autostima, che non è presunzione, ma verità, in quanto ci fa vedere come creature e figli di Dio, “nel quale possiamo tutto” (S. Paolo), ci aiuta a vivere con certezza e fiducia, a bandire la paura e lo scoraggiamento, a non rimandare l’azione. Il rinviare infatti nasconde una grossa insicurezza interiore, come la pigrizia che non ci fa affrontare i problemi (equivale a ciò che fa lo struzzo il quale nasconde la testolina tra la sabbia, lasciando allo scoperto il resto del suo corpo), è una fuga dalla realtà. Per il cristiano, come per la filosofia del senso comune, l’uomo non è solo anima (Cartesio) o solo corpo (Marx), ma unione di anima e corpo. Quest’ultimo non è intrinsecamente cattivo, ma al contrario è un utile strumento subordinato all’anima, di cui dobbiamo servirci, e non servirlo come schiavi. Dobbiamo prendercene ragionevolmente cura affinchè sia efficiente ed in buone condizioni (“mens sana in corpore sano”), onde è opportuno non fumare e bere alcolici smoderatamente, non mangiare disordinatamente (“ne uccide più la gola che la spada”; “bacco, tabacco e venere riducono l’uomo in cenere” dice il proverbio), senza diventare ipocondriaci o iscriverci all’“esercito della salvezza” (ogni eccesso, è un difetto).

L’individuo è eguale a sé e diverso da tutti gli altri
Non solo occorre aver una sana autostima, ossia fidarsi di sé basandosi sull’aiuto costante di Dio, ma bisogna fondarla sul fatto che ogni persona è unica, irripetibile, diversa da tutte le altre; ha inoltre la dignità di sussistere in una natura razionale e libera, onde ognuno deve essere convinto che è su questa terra per svolgere un compito che è stato assegnato solo a lui, per diventare ciò che è in potenza (ultimissimamente un beato del Paradiso con il suo determinato grado di gloria).
Questo è il segreto che ogni uomo deve scoprire e vivere: la sua unicità, il suo “scopo prossimo” su questa terra e il suo “fine ultimo” in Cielo. Allora ognuno si sente valorizzato, accettato da Dio (è quel che basta) e non teme più l’opinione degli altri, le critiche, le calunnie. Queste sono solo parole, “soffi che volano per l’aria e non ci torcono neppure un capello” (Imitazione di Cristo), se ci fondiamo sulla nostra vera natura di fronte a Dio e a noi stessi; altrimenti ci travolgono e ci spezzano, perchè viviamo al cospetto degli altri e ne siamo dipendenti. La loro sentenza diventa una sorta di “giudizio universale” che ci condanna per sempre; ma non è così.
«Tutti i turbamenti del cuore – scrive L’Imitazione di Cristo - vengono dal desiderio smodato di piacere agli uomini e dal timore di dispiacere loro». Occorre diventare indipendenti dal giudizio degli altri e per far ciò devi entrare nel profondo, nella “cella” della tua anima (S. Caterina da Siena) e riflettere su ciò che sei, sul tuo fine, per trascendere le contingenze umane in un rapporto di conoscenza ed amore reciproco con Dio. Non devi vedere nel prossimo solo qualcuno che ti è nemico, un avversario da cui è bene guardarsi, verso il quale devi stare in continua autodifesa, col timore ti essere giudicato o non apprezzato e di sbagliare; la tua vita diventerebbe un “inferno”, ti porterebbe all’isolamento (che non è la “beata solitudo, sola beatitudo” di cui parla S. Agostino) ma la negazione della natura di animale sociale che ti è propria; ricordati che l’uomo è un animale razionale, libero e sociale e perciò devi realizzarti e diventare ciò che sei in potenza, conoscendo il Vero, amando il Bene, in unione con altri uomini, ossia in società, senza dare ad altri potere su di te (ti renderebbe schiavo), senza far dipender il tuo stato d’animo dagli altri; vivi insieme agli altri la tua vita, ma non dipendentemente dagli altri, in maniera servile, ma di fronte a Dio, trascendendo te stesso e gli altri.

Attenzione all’invidia
L’invidioso è un povero “disgraziato”, sofferente, immaturo psicologicamente, che per affermarsi e sentirsi superiore cerca di render inferiori gli altri, li umilia, li ferisce, li ridicolizza, li guarda con sufficienza dall’alto in basso (vittima di un “complesso di superiorità”), li condanna, egli mette a fuoco i difetti dell’altro, senza considerarlo nella sua totalità (unione di anima e corpo), come persona umana creata da Dio, con difetti e qualità, ma sempre con la capacità di rispondere alla chiamata di Dio (che poi è l’essenziale).
L’invidioso non fa la parte di Dio che chiama a redenzione, ma quella del diavolo che spinge a disperazione e alla dannazione.
Infatti l’invidioso vuol metterti in condizione di inferiorità, focalizzando un tuo difetto e riducendoti solo a quello, vuole minare la tua integrità di animale razionale e di figlio di Dio. Nel medioevo il diavolo era dipinto col color giallo o verde (non rosso), poichè è invidioso e geloso che l’uomo possa salvarsi mentre lui è dannato per sempre. L’invidioso diventa giallo e poi verde quando è afflitto dalla sua insana passione, come il collerico diventa nero, il timido arrossisce, il pauroso impallidisce.
Fuggi l’invidioso: se ti attacca difenditi senza prestare troppa attenzione al tuo difetto, pensando piuttosto all’insieme della tua persona. D’altronde «Dio permette che i suoi eletti, per non insuperbirsi, abbiano qualche infermità, qualche difetto che li umili veramente» (S. Tommaso).
L’unico che può giudicarti è Dio che non conosce invidia e gelosia ma che è l’Amore stesso sussistente. Trascenditi entrando in rapporto con Lui, non permettere all’invidioso di condizionarti, di schiavizzarti, ti distruggerebbe, ti porterebbe alla disperazione e alla perdizione. Fa il contrario di ciò che vorrebbe indurti a fare. Serenamente, tranquillamente, ignoralo come un moscerino “fastidioso” che non vale la pena di essere schiacciato ma solo scacciato.

Ottimismo o pessimismo?
Il pessimismo afferma la vittoria del male sul bene, esso si oppone all’ottimismo non perchè neghi l’esistenza del bene ma solo in quanto afferma la preponderanza del male sul bene (al contrario, l’ottimismo). Se l’essere coincide col bene si può teorizzare un ottimismo radicale, mentre il male essendo privazione (di bene) non può essere assolutizzato, lo si negherebbe totalmente. Tu sai che la natura, l’essere è qualcosa di positivo, addirittura la tua anima è “immagine e somiglianza” del Signore (se vivi in grazia di Dio). Tuttavia il peccato originale ci pone in uno stato di lotta continua, contro il demonio, i mondani e la triplice concupiscenza (orgoglio, avarizia e lussuria) che alberga in noi. Sei sottoposto alla sofferenza e alla morte, ma l’intelligenza e la volontà hanno conservato la capacità di conoscere il vero e rifiutare l’errore, di amare il bene e odiare il male. Inoltre Dio si è incarnato per noi, per la nostra salvezza e dà a ciascuno la grazia sufficiente a salvarsi. Perciò, nell’ottica cristiana, l’ottimismo prevale sul pessimismo, anche se l’uomo ferito dal peccato di Adamo è più incline a fare il male che il bene, poichè è più proclive a seguire i sensi (la sua parte animale) che la retta ragione e la fede (la sua parte razionale e spirituale). Ma tu sai che l’esistenza terrena, anche se irta e difficile, deve preparare quella eterna. Infine la vittoria assoluta e definitiva dell’ottimismo si fonda sulla libertà individuale, sull’immortalità dell’anima individuale e sulla Provvidenza di Dio che ci guida per mano, passo passo, durante la nostra vita travagliata, al regno dei Cieli.

Tuttavia se l’uomo è libero può anche peccare, se l’anima è immortale può andare all’inferno per sempre, se Dio è Provvidenza l’uomo può rifiutarla; ma occorre che tu sappia che la speranza di usar bene la tua libertà, di salvarti ed andare in Cielo a ringraziare la divina Provvidenza, è una “certezza di tendenza”. Faccio un esempio, quando prendo l’automobile, il treno o l’aereo per andare a Palermo, ho la speranza o certezza di tendenza verso il traguardo, mentre reputo solo remotamente possibile che non vi giunga, per incidente, malessere, sciopero.
Ora l’uomo normale per agire non prende in considerazione le possibilità remote ed eccezionali, altrimenti non si muoverebbe più (è possibile che alzandomi dal letto scivoli e cada per terra, rompendomi l’osso del collo, ma non lo prendo in considerazione, altrimenti impazzirei). Sono certo di tendere ed arrivare a vestirmi e presentarmi al lavoro.
Così è per la vita, spero e sono certo di tendere e di giungere al traguardo, una buona e santa morte in grazia di Dio e il Paradiso.
Per cui in definitiva è l’ottimismo che prevale sul pessimismo, la speranza sulla disperazione, l’essere sul possibile, il certo sull’incerto.
È pur vero che nell’ordine soprannaturale sono pochi a riuscire a cogliere il fine per loro “accidia” e non per “malvagità” di Dio (S. Tommaso). Tuttavia se vuoi sinceramente salvarti e unirti a Dio, abbi fiducia nella sua onnipotenza soccorritrice e certamente ti salverai. Non è una certezza assoluta ma di tendenza o speranza e la speranza è un’àncora, forte, stabile e stabilizzante.
«Nulla mi può spaventare, se Tu sei con me, o Signore, e Tu sempre lo sarai, finché io speri in Te. Così io mi sento al riparo da tutte le disgrazie... Perciò son risoluto di vivere senza preoccupazioni o turbamento, e di gettare nel Tuo cuore paterno tutte le mie pene... Questa fiducia in Te non ha mai ingannato nessuno.
Dunque io sono sicuro che sarò eternamente felice, perché fermamente spero di esserlo, e perché sei Tu, o mio Dio, quegli da cui lo spero» (Beato Claude de la Colombière).

Occorre perciò che tu indebolisca i tuoi pensieri negativi o “neri”, per rafforzare, con equilibrio, quelli positivi; cerca di veder il lato bello di tutte le cose, anche le più atroci (pensa alla morte in croce di Gesù: umanamente parlando è scoraggiante, deprimente, invece vista con l’occhio della fede è la salvezza del genere umano). Cerca di allenare il tuo cuore al sorriso, alla serenità in qualsiasi circostanza, soprattutto le più drammatiche, questo ti aiuterà anche se gli avvenimenti esterni sono tristi, il tuo interno deve sempre restare sereno, fiducioso nell’aiuto di Dio, propenso a dargli ragione; anche se nell’immediato non capiamo perché ci mandi quelle prove (pensa a Gesù che nasce in una stalla, al freddo e al gelo, senza che la Madonna e S. Giuseppe si lamentino, si preoccupino, sereni e fiduciosi nell’aiuto di Dio) conserviamo la fiducia in Lui.

Un po’ di auto-ironia non guasta, non prenderti troppo sul serio, non fare il “voto di serietà”, come i calvinisti e i mormoni. Il diavolo è sempre triste perché è dannato per tutta l’eternità, ma tu che sei ancora vivo hai la possibilità reale di salvarti, Dio ti ha creato per questo, onde «un santo triste è un triste... “santo”» (S. Filippo Neri).
Ridi di cuore e risolverai molti problemi. Ti racconto un esempio. Una mia zia ebbe una vita molto travagliata, ma un carattere molto forte. Tra le tante disgrazie vi fu il fallimento del ricco marito. L’ufficiale giudiziario che si era recato a compiere il pignoramento dei mobili (qualche giorno dopo la morte della unica figlia ventenne), le fece una proposta sconcia; mia zia scoppiò in una gran risata, l’ufficiale... scomparve e mia zia sapeva riderne ancora in vecchiaia, nonostante le avversità che l’accompagnarono nel resto della sua vita ed anche post mortem.

Sii più maturo per poter crescere spiritualmente
La vita spirituale, come ogni vita, implica crescita, sviluppo, maturazione, e questa si svolge in un incontro continuo tra grazia divina (spirituale) e risposta umana (ossia offerta e prodotta da intelletto e volontà). La crescita spirituale si realizza utilizzando i processi mentali della persona: Occorre non disgiungere l’antropologia o psicologia dalla spiritualità, dacché la grazia edotta da Dio a partire dalla potenza dell’anima umana, poi perfeziona la razionalità e la libertà dell’uomo (S. Tommaso).

I disturbi e l’immaturità del pensiero umano possono impedire la sana crescita spirituale in quanto possono comportare una dissociazione dalla realtà e una fuga in un mondo immaginario. In un certo senso la santità consiste nel recuperare lo stato di “giustizia originale”, in cui si raggiunge l’integrità o rapporto pieno e maturo tra corpo e anima e la piena sottomissione del corpo allo spirito. Tuttavia non bisogna idealizzare troppo ed esagerare (sarebbe l’errore per eccesso, una sorta di naturalismo pelagiano); asserendo che solo le persone psicologicamente e fisicamente perfette possono svilupparsi spiritualmente, si correrebbe il rischio di demoralizzare, nel cammino spirituale, i soggetti psicologicamente limitati, mentre abbiamo esempi di santi affetti da anomalie psicologiche (S. Teresina, Pio IX, Liebermann, S. Paolo Apostolo), sormontate con l’aiuto di Dio e l’impegno ascetico. “Il mondo è bello perchè è vario” e “lo Spirito soffia dove vuole” (Vangelo), “ogni spirito loda il Signore”.

Non mi sembra neppure di poter dire che il progresso della vita spirituale necessiti assolutamente di un abbassamento della natura umana, onde solo i “deboli” sono privilegiati da Dio, significherebbe confondere l’eccezione con la regola (è l’errore per difetto, una sorta di religione dei deboli per essenza, che conduce ad un soprannaturalismo esagerato e falso).
La verità si trova in medio et cùlmen tra queste due concezioni che non si escludono a vicenda, ma debbono integrarsi, dacché una sola teoria spiega solo parzialmente il problema e quindi non lo risolve.
Lo sviluppo umano comporta una crescita fisica ed un progresso cosciente e libero.
Così la crescita spirituale presuppone:

a) lo sviluppo conoscitivo:
che permette al soggetto di conoscere sempre meglio il sovrannaturale per amarlo sempre di più (“nihil volitum nisi praecognitum”, Aristotele);

b) lo sviluppo morale:
la fede senza le opere è morta;

c) lo sviluppo affettivo-emotivo:
che risente dell’infanzia e del rapporto coi genitori del soggetto. I parenti psicologicamente maturi e forti possono favorire nel soggetto l’ottimismo, il realismo, il buon senso, la fiducia, l’altruismo, il coraggio di agire, che pur non essendo di per sé qualità spirituali, favoriscono comunque una sana vita spirituale; mentre quelli immaturi normalmente trasferiscono le loro problematiche ed insicurezze affettivo-emozionali sui figli, i quali possono correggersi con lo sforzo ascetico e la grazia divina. Essi non sono determinati o necessitati ma inclinati ad un comportamento non completo dal quale possono uscire se vogliono.

d) lo sviluppo sociale:
non è adattamento passivo all’ambiente, alla moda, al conformismo, ma apertura intelligente, saggia e prudente; riconoscimento del valore altrui, alla comprensione dei difetti e pregi di ogni creatura e alla possibilità di redenzione insita in ciascuno che non si ostini di vivere nel passato e di resistere alla grazia.

«La prima via purgativa dello sviluppo spirituale o vita ascetica, corrisponde – grosso modo - alla pubertà, i 12-14 anni, in cui l’essere umano comincia a svilupparsi fisiologicamente e psicologicamente, ed inizia a diventare un uomo atto a generare, cessando di essere un bambino;

la seconda via illuminativa o mistica iniziale, corrisponde all’adolescenza, in cui si continua a crescere dalla pubertà e si tende alla maturità, dai 15 ai 20 anni;

la terza via unitiva o mistica perfetta, corrisponde alla maturità dell’adulto, che ha completato lo sviluppo e si trova nella maturità fisiologica e psicologica; è cresciuto negli anni, possiede un certo grado di discernimento, di prudenza, di giudizio e di equilibrio, ossia è giunto al pieno sviluppo delle potenze intellettuali e morali, al compimento e perfezione. Essa è imperfetta dai 21 ai 35 anni e perfetta dopo i 35 anni» (Garrigou- Lagrange).

La spiritualità comporta tutti questi elementi (conoscenza e amore di Dio, di sé e del prossimo, ossia sana vita morale individuale e sociale). È errato misconoscere il sano sviluppo della sfera affettiva nel cammino spirituale, che è acquisito nelle prime esperienze familiari e che ci permette di controllare più facilmente le nostre reazioni, modificare e correggere i sentimenti negativi (sfiducia, disistima, indegnità, vergogna, senso di colpa, paura). Questi hanno origini lontane, sono sepolti nella nostra, memoria anche se non ne abbiamo piena coscienza attuale ed esplicita, e possono influire sulla nostra vita individuale e sociale. I difetti dovuti ad una carente sfera affettiva possono essere corretti con la direzione spirituale, l’esame di coscienza, la meditazione, la conoscenza di sé e soprattutto la fiducia in Dio.


TRATTO dalla rivista Sodalitium



1 commento:

  1. Ecco cosa è per quello che ho visto io con sperimentazioni anche con altre persone "Anima": :(

    http://truerevolutionow.blogspot.it/p/premessa-quante-volte-ho-sentito-e.html

    RispondiElimina

Scrivi un tuo commento: