Sillabo dei principali errori dell'età
nostra, che son notati nelle allocuzioni concistoriali, nelle encicliche e in
altre lettere apostoliche del SS. signor nostro papa Pio IX (1864)
I - Panteismo,
naturalismo e razionalismo assoluto
I. Non esiste niun Essere divino, supremo,
sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest'universo, e Iddio
non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio
realmente vien fatto nell'uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno
la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e
quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e
libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra
gli uomini e il mondo.
III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.
III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono
dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per
mezzo di cui l'uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le
verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.
V. La rivelazione divina è imperfetta, e
perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso
della ragione umana.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana
ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a, ma nuoce anzi alla
perfezione dell'uomo.
VII. Le profezie e i miracoli esposti e
narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede
cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e
Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.
VIII. Siccome la ragione umana si equipara
colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si devono trattare al
modo delle filosofiche.
IX. Tutti indistintamente i dommi della
religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e
l'umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e
principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi,
purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la
filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli
ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna
autorità.
XI. La Chiesa non solo non deve mai
correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa
corregga se stessa.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle
romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli
antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle
necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.
XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla
soprannaturale rivelazione.
XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e
professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà
reputato essere vera.
XVI. Gli uomini nell'esercizio di
qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e
conseguire l'eterna salvezza.
XVII. Almeno si deve bene sperare della
eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.
XVIII. Il protestantesimo non è altro che una
forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente
che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.
Tali pestilenze sono condannate più volte e
con gravissime espressioni nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre
1846; nell'allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera
Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nell'Allocuzione Singulari
quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto
1863
XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta
società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti,
conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire
quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare
detti diritti.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire
dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera
religione.
XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e
gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che
dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come
dommi di fede.
XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii
ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei
Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e
legittimo diritto di acquistare e di possedere.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.
XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice
si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del
Governo.
XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone
ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.
XXXII. Senza violazione alcuna del naturale
diritto e delle equità, si può abrogare l'immunità personale, in forza della
quale i chierici sono esenti dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale
abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le
cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.
XXXIII. Non appartiene unicamente alla
ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il
dirigere l'insegnamento della teologia.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano
il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta
la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.
XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città.
XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città.
XXXVI. La definizione di un Concilio
nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può
considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani
Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in
quella di Occidente.
XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e
fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è
contraria al bene ed agl'interessi della umana società.
XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per abuso.
XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per abuso.
XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e
dell'altra potestà, deve prevalere il diritto civile.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.
XLIV. L'autorità civile può interessarsi
delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale.
Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare
per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare
regolamenti intorno all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni
necessarie per riceverli.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei
Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.
XLVII. L'ottima forma della civile società
esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli
di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl'istituti pubblici, che sono
destinati all'insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla
educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed
ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell'autorità
civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni
opinioni del secolo.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella
maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e
dall'autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e
soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
L. L'autorità laicale ha di per sé il diritto
di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare
le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le
Lettere apostoliche.
LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di
deporre i Vescovi dall'esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad
obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei
Vescovati e dei Vescovi.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare
l'età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle
donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere
alcuno ai voti solenni senza suo permesso.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che
appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro
diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali
vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti
solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come
anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e
sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all'amministrazione ed
all'arbitrio della civile potestà.
LIV. I Re e i Principi non solamente sono
esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni
di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano
della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al
diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se
non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di
costumi si deve riporre nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera
la ricchezza e nel soddisfare le passioni.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale;
tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno
forza di diritto.
LX. L'autorità non è altro che la somma del
numero e delle forze materiali.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.
LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.
LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.
LXV. Non si può in alcun modo tollerare che
Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.
LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che
una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso
Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.
LXVIII. La Chiesa non ha la potestà
d'introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla
autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti esistenti.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre
gl'impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando
di quello che ricevette dalla civile potestà.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
LXXI. La forma del Concilio Tridentino non
obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva
un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia
valido.
LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il
voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.
LXXIII. In virtù del contratto meramente
civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il
contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il
contratto è nullo se si esclude il sacramento.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali
di loro natura appartengono al foro civile.
IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice
IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno
temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa
cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero
posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla
prosperità della Chiesa.
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno
temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa
cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero
posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla
prosperità della Chiesa.
LXXVII. In questa nostra età non conviene più
che la religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato,
esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.
LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.
LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve
riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la
moderna civiltà.
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