1. Mi scrivi
di aver letto con grande avidità i libri di Fabiano Papirio sulla politica, ma
che hanno deluso le tue aspettative; poi, dimenticando che si tratta di un
filosofo, ne critichi la forma. Supponiamo che sia come tu dici e che le parole
vengano messe giù senza un'architettura precisa. Prima di tutto, questo stile
ha una sua attrattiva ed è la bellezza di una prosa che scivola via dolcemente;
secondo me scorrere e venir fuori a precipizio sono due cose molto diverse.
Inoltre c'è una grande differenza anche in quello che sto per dire: 2. per me
Fabiano riversa la sua eloquenza, senza, però uscire dagli argini; è
un'eloquenza ampia, pacata, e tuttavia, ha un suo impeto. Questo indica
chiaramente e dimostra immediatezza e spontaneità. Ma ammettiamo che tu abbia
ragione: l'intento di Fabiano era di dare una regola ai costumi, non alle
parole, e ha scritto per educare, non per diletto. 3. E poi, se lo avessi
sentito parlare, non avresti avuto modo di badare ai particolari, tutto preso
dal succo del discorso; e in genere quello che piace per l'impeto dell'oratore,
una volta trascritto rende meno. Ma è già molto che l'opera attragga a prima
vista l'attenzione di chi legge, anche se a un esame più accurato si troveranno
delle pecche. 4. Vuoi sapere come la penso? Chi strappa un giudizio favorevole
vale di più di uno che questo giudizio lo merita; eppure so che quest'ultimo va
più sul sicuro, so che può nutrire speranze più audaci di futuri successi. Non
è bene che l'eloquenza di un filosofo sia eccessivamente ricercata: se uno si
preoccupa per le parole, non può riuscire vigoroso e fermo, non può mettere
alla prova se stesso. 5. Fabiano non si curava della forma, ma non era sciatto.
Non troverai niente di volgare: le parole sono scelte, non ricercate, non ne
capovolge il senso impiegandole in accezioni opposte alla norma secondo la moda
di oggi, e, benché siano prese dal linguaggio comune, sono eleganti. I concetti
sono nobili ed elevati, espressi piuttosto diffusamente e non ridotti a sentenze.
Potremo scoprire qualche ridondanza, qualche frase mal costruita, qualche
elemento privo di questa eleganza oggi in uso: ma in tutto l'insieme non
troverai pensieri meschini e vuoti. 6. Una casa anche se non ha varietà di
marmi, acqua corrente nelle diverse camere, la cosiddetta stanzetta del povero
e tutto ciò che il lusso non contento di ornamenti semplici mette insieme, è
pur sempre, come si dice, una buona casa.
Inoltre, i pareri sullo
stile sono discordi: certi vogliono che la bellezza derivi dalla semplicità, a
certi altri piace la durezza al punto che, se per caso qualche frase risulta
troppo dolce, la guastano di proposito e spezzano le clausole per renderle
inaspettate.
7. Leggi Cicerone: il suo stile è unitario, segue un ritmo lento, è
dolce, ma senza eccessi. Invece quello di Asinio Pollione è scabro, ineguale e
si ferma quando meno te l'aspetti. Insomma, in Cicerone i periodi terminano, in
Pollione si interrompono, tranne pochissime eccezioni in cui sono legati a un
ritmo determinato e a un unico modello.
8. Affermi, inoltre, che secondo te in Fabiano
tutto è terra terra e poco elevato: a mio parere è un difetto che non ha. Le
sue espressioni non sono terra terra, ma pacate, e nascono da uno stato d'animo
tranquillo e sereno; non sono basse, ma chiare. Mancano di vigore oratorio, di
quella capacità di incitare, che tu chiedi, e di colpire con frasi inattese; ma
l'insieme, ne avrai notata l'eleganza, è bello. La sua eloquenza è priva di
grandiosità, ne dà, tuttavia, il senso. 9. Citami qualche scrittore da anteporre
a Fabiano. Cicerone, i cui libri di filosofia sono all'incirca numerosi quanto
quelli di Fabiano; d'accordo, ma se uno è inferiore a chi è grandissimo, non
per questo è da poco. Asinio Pollione: va bene; però ti rispondo: occupare il terzo
posto in un campo così importante equivale a distinguersi. Fai ancòra il nome
di Tito Livio; ha scritto anche dei dialoghi che si possono considerare storici
e filosofici, e dei libri specificatamente filosofici: faccio posto anche a
lui. Vedi, tuttavia, quanti autori si lasci alle spalle uno che è superato solo
da tre e per giunta straordinariamente eloquenti.
10. Fabiano, però non eccelle in tutto: la sua eloquenza non è vigorosa, anche se
elevata; non è impetuosa e irruente, anche se sciolta; è schietta, ma non
limpida. "Le sue parole," dici "dovrebbero essere più severe
contro i vizi, più coraggiose contro i pericoli, più altere contro la fortuna,
più oltraggiose contro l'ambizione. Vorrei che biasimasse il lusso, schernisse
la libidine, rintuzzasse la prepotenza. Che ci fosse in lui la veemenza
dell'oratoria, la grandezza della tragedia, l'asciuttezza della
commedia." Tu vorresti che Fabiano badasse a una cosa da poco: le parole;
lui si è dedicato alla grandezza dell'argomento, e si è trascinato dietro
l'eloquenza come un'ombra, senza curarsene. 11. I singoli elementi sono senza
dubbio poco meditati e mal collegati tra loro, non tutte le parole sono accese
e pungenti, lo ammetto: molte espressioni passano inosservate, senza colpire, e
il discorso talvolta scorre via senza nerbo; ma in ogni pagina ci sono sprazzi
di luce e ne puoi scorrere lunghi brani senza annoiarti. Infine, ti sarà chiaro
che egli sentiva le cose che ha scritto. Capirai che non ha voluto piacere a
te, ma farti sapere ciò che a lui piaceva. L'intera opera tende a rendere
migliori, a educare lo spirito: non cerca il plauso.
12. Sono certo che i suoi scritti sono di
questo tipo, anche se, più che averli presenti, ne ho un vago ricordo, e le
loro caratteristiche non le ho bene impresse, come avviene dopo una lettura
recente, ma li ricordo in modo sommario: sono frutto di una conoscenza di
vecchia data; quando lo ascoltavo parlare, i suoi discorsi mi sembravano, se
non connessi in maniera organica, consistenti, cioè capaci di elevare un
giovane di indole onesta e di spingerlo all'emulazione con buone speranze di
superare il suo modello: e questo mi pare un incoraggiamento efficacissimo.
Distoglie i giovani, chi suscita in loro il desiderio di imitarlo, ma li priva
della speranza di riuscire. Del resto la sua eloquenza era sovrabbondante e
magnifica nell'insieme, nonostante le singole componenti non avessero pregi
particolari.
Stammi bene.
Stammi bene.
TRATTO DA "Lettere a Lucilio" - Seneca
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