1. Ogni giorno, ogni
ora ci mostra che siamo un nulla e con qualche nuovo argomento ricorda a noi
dimentichi la nostra caducità, e mentre concepiamo progetti come se fossimo
eterni ci costringe a guardare alla morte. Chiedi che cosa significhi questa
premessa? Tu conosci Cornelio Senecione, cavaliere romano illustre e cortese:
da un'umile origine era arrivato in alto, destinato a ulteriori e facili
successi. L'inizio di una carriera è più difficile che il suo sviluppo. 2. Anche
il denaro tarda molto ad arrivare, se uno è povero: alla povertà si rimane
attaccati, finché non si riesce a tirarsene fuori. Senecione ormai mirava ad
arricchirsi e a questo lo portavano due qualità validissime: la capacità di
procurarsi il denaro e quella di conservarlo; sarebbe bastata una sola delle
due a renderlo ricco. 3. Quest'uomo molto frugale, che aveva cura tanto del patrimonio
quanto del suo corpo, mi aveva fatto visita al mattino, come d'abitudine, e
aveva poi assistito per l'intera giornata, fino a notte, un amico gravemente
malato che giaceva a letto senza speranza di guarigione; dopo aver cenato
allegramente, colpito da un male fulminante, l'angina, a stento sopravvisse
fino all'alba rantolando con le vie respiratorie bloccate. È morto, dunque,
pochissime ore dopo aver svolto tutte le attività proprie di un individuo sano
e in forze.
4. Quell'uomo, che
faceva girare il denaro per terra e per mare, che aveva partecipato anche a
pubblici appalti e non aveva tralasciato nessun tipo di guadagno, proprio
quando le cose si mettevano bene, proprio quando il denaro arrivava in
abbondanza, è scomparso.
Innesta ora i peri,
Melibeo, disponi le viti in filari.
Come è insensato
disporre della propria vita, se non siamo padroni neppure del domani! Come sono pazzi quelli che danno il via a progetti
lontani nell'avvenire: comprerò, costruirò, darò denaro in prestito, ne
riscuoterò, ricoprirò cariche, e alla fine passerò in ozio, stanco e
soddisfatto, la vecchiaia. 5. Credimi: tutto è incerto, anche per gli uomini
fortunati; nessuno deve ripromettersi niente per il futuro; anche quello che
abbiamo fra le mani ci sfugge e il caso tronca l'ora stessa che stringiamo. Il
tempo passa secondo una legge determinata, ma a noi sconosciuta: e che mi
importa se per la natura è certo quello che per me è incerto? 6. Ci proponiamo
lunghi viaggi per mare e un ritorno in patria lontano nel tempo, dopo aver
vagato per lidi stranieri; imprese militari e tardive ricompense di fatiche
guerresche, amministrazioni di province e avanzamenti di carriera, di carica in
carica, mentre la morte ci sta accanto; e poiché non ci pensiamo mai, se non
quando tocca agli altri, di tanto in tanto ci vengono messi davanti esempi
della nostra mortalità, che, però, durano in noi solo quanto il nostro stupore.
7. Ma niente è più sciocco che stupirsi che accada un giorno quanto può
accadere ogni giorno. Il termine della nostra vita sta dove l'ha fissato
l'inesorabile ineluttabilità del destino; ma nessuno di noi sa quanto si trovi
vicino alla fine; disponiamo, perciò la nostra anima come se fossimo arrivati
al momento estremo. Non rinviamo niente; chiudiamo ogni giorno il bilancio con
la vita. 8. Il difetto maggiore dell'esistenza è di essere sempre incompiuta e
che sempre se ne rimanda una parte. Chi dà ogni giorno l'ultima mano alla sua
vita, non ha bisogno di tempo; da questo bisogno nascono la paura e la brama
del futuro che rode l'anima. Non c'è niente di più triste che chiedersi quale
esito avranno gli eventi futuri; se uno si preoccupa di quanto gli resta da
vivere o di come, è agitato da una paura inguaribile. 9. Come sfuggire a questa
inquietudine? In un solo modo: la nostra vita non deve protendersi
all'avvenire, deve raccogliersi in se stessa; chi non è in grado di vivere il
presente, è in balia del futuro. Ma quando ho pagato il debito che avevo con me
stesso, quando ho ben chiaro in testa che non c'è differenza tra un giorno e un
secolo, posso guardare con distacco il susseguirsi dei giorni e degli eventi
futuri e pensare sorridendo al succedersi degli anni. Se uno è saldo di fronte
all'incerto, non può turbarlo la varietà e l'incostanza dei casi della vita.
10. Affrettati, perciò a vivere, Lucilio mio, e i singoli giorni siano per te
una vita. Chi si forma così e ogni giorno vive compiutamente la sua vita,
è tranquillo: se uno vive nella speranza, si sente sfuggire anche il tempo più
vicino e subentra in lui l'avidità della vita e l'infelicissima paura della
morte che rende altrettanto infelice ogni cosa. Nasce da qui quel
vergognosissimo voto di Mecenate che non rifiuta malattie e deformità e in
ultimo il supplizio del palo, pur di continuare a vivere anche tra queste
sventure:
11
rendimi storpio di una mano, zoppo di una gamba, fammi crescere la gobba, fammi
cadere i denti: purché continui a vivere, va bene; conservami la vita anche su
un palo di tortura.
12 Egli si augura un
destino che sarebbe molto infelice, se si realizzasse, e pur di vivere, chiede
un supplizio continuo. Lo considererei già spregevolissimo se volesse vivere
fino al momento di salire al patibolo: "Storpiami pure," dice,
"purché lo spirito vitale rimanga in questo corpo senza forze e
inservibile; sfigurami, purché, mostruoso e deforme, io possa vivere ancòra un
po'; impalami, crocifiggimi": vale la pena comprimere la propria ferita e
penzolare dalla forca con gli arti slogati, pur di rimandare la cosa più
desiderabile quando si soffre: la fine dei tormenti? Val la pena di avere la
vita per esalarla? 13 Che cosa potresti augurargli se non la benevolenza degli
dèi? A che mirano questi versi turpemente effeminati? A che questo patto nato
da una paura insensatissima? E questo mendicare così sconciamente la vita?
Potresti pensare che Virgilio abbia mai recitato a Mecenate questo verso:
Morire è, dunque,
così triste?
Egli si augura i mali
più atroci e desidera prolungare e sopportare le sofferenze più terribili: che
ci guadagna? Una vita più lunga naturalmente. Ma che vita è agonizzare a lungo?
14 C'è qualcuno che preferisce consumarsi tra i tormenti, morire membro a
membro ed esalare l'anima ripetutamente in uno stillicidio, invece che morire
in un sol colpo? C'è qualcuno che vuole prolungare una vita fonte di tante
sofferenze, attaccato a quel maledetto palo, ormai storpio, deforme, con una
gobba ripugnante sulla schiena e sul petto, quando avrebbe avuto molti motivi
per morire anche senza arrivare alla croce? E dimmi ora che non è un grande
beneficio della natura l'ineluttabilità della morte. 15 Molti sono pronti a
fare patti ancòra più vergognosi: anche a tradire un amico per vivere più a lungo,
e a consegnare di persona i figli allo stupro, pur di poter vedere la luce,
testimone di tanti delitti. Scuotiamoci di dosso questa smania di vivere e
impariamo che non importa quando subiremo quello che dobbiamo prima o poi
subire; conta vivere bene, non vivere a lungo; ma spesso il vivere bene
consiste proprio nel non vivere a lungo.
Stammi bene.
TRATTO DA
"Lettere a Lucilio" - Seneca
1. Ogni giorno, ogni
ora ci mostra che siamo un nulla e con qualche nuovo argomento ricorda a noi
dimentichi la nostra caducità, e mentre concepiamo progetti come se fossimo
eterni ci costringe a guardare alla morte. Chiedi che cosa significhi questa
premessa? Tu conosci Cornelio Senecione, cavaliere romano illustre e cortese:
da un'umile origine era arrivato in alto, destinato a ulteriori e facili
successi. L'inizio di una carriera è più difficile che il suo sviluppo. 2. Anche
il denaro tarda molto ad arrivare, se uno è povero: alla povertà si rimane
attaccati, finché non si riesce a tirarsene fuori. Senecione ormai mirava ad
arricchirsi e a questo lo portavano due qualità validissime: la capacità di
procurarsi il denaro e quella di conservarlo; sarebbe bastata una sola delle
due a renderlo ricco. 3. Quest'uomo molto frugale, che aveva cura tanto del patrimonio
quanto del suo corpo, mi aveva fatto visita al mattino, come d'abitudine, e
aveva poi assistito per l'intera giornata, fino a notte, un amico gravemente
malato che giaceva a letto senza speranza di guarigione; dopo aver cenato
allegramente, colpito da un male fulminante, l'angina, a stento sopravvisse
fino all'alba rantolando con le vie respiratorie bloccate. È morto, dunque,
pochissime ore dopo aver svolto tutte le attività proprie di un individuo sano
e in forze.
4. Quell'uomo, che
faceva girare il denaro per terra e per mare, che aveva partecipato anche a
pubblici appalti e non aveva tralasciato nessun tipo di guadagno, proprio
quando le cose si mettevano bene, proprio quando il denaro arrivava in
abbondanza, è scomparso.
Innesta ora i peri,
Melibeo, disponi le viti in filari.
Come è insensato
disporre della propria vita, se non siamo padroni neppure del domani! Come sono pazzi quelli che danno il via a progetti
lontani nell'avvenire: comprerò, costruirò, darò denaro in prestito, ne
riscuoterò, ricoprirò cariche, e alla fine passerò in ozio, stanco e
soddisfatto, la vecchiaia. 5. Credimi: tutto è incerto, anche per gli uomini
fortunati; nessuno deve ripromettersi niente per il futuro; anche quello che
abbiamo fra le mani ci sfugge e il caso tronca l'ora stessa che stringiamo. Il
tempo passa secondo una legge determinata, ma a noi sconosciuta: e che mi
importa se per la natura è certo quello che per me è incerto? 6. Ci proponiamo
lunghi viaggi per mare e un ritorno in patria lontano nel tempo, dopo aver
vagato per lidi stranieri; imprese militari e tardive ricompense di fatiche
guerresche, amministrazioni di province e avanzamenti di carriera, di carica in
carica, mentre la morte ci sta accanto; e poiché non ci pensiamo mai, se non
quando tocca agli altri, di tanto in tanto ci vengono messi davanti esempi
della nostra mortalità, che, però, durano in noi solo quanto il nostro stupore.
7. Ma niente è più sciocco che stupirsi che accada un giorno quanto può
accadere ogni giorno. Il termine della nostra vita sta dove l'ha fissato
l'inesorabile ineluttabilità del destino; ma nessuno di noi sa quanto si trovi
vicino alla fine; disponiamo, perciò la nostra anima come se fossimo arrivati
al momento estremo. Non rinviamo niente; chiudiamo ogni giorno il bilancio con
la vita. 8. Il difetto maggiore dell'esistenza è di essere sempre incompiuta e
che sempre se ne rimanda una parte. Chi dà ogni giorno l'ultima mano alla sua
vita, non ha bisogno di tempo; da questo bisogno nascono la paura e la brama
del futuro che rode l'anima. Non c'è niente di più triste che chiedersi quale
esito avranno gli eventi futuri; se uno si preoccupa di quanto gli resta da
vivere o di come, è agitato da una paura inguaribile. 9. Come sfuggire a questa
inquietudine? In un solo modo: la nostra vita non deve protendersi
all'avvenire, deve raccogliersi in se stessa; chi non è in grado di vivere il
presente, è in balia del futuro. Ma quando ho pagato il debito che avevo con me
stesso, quando ho ben chiaro in testa che non c'è differenza tra un giorno e un
secolo, posso guardare con distacco il susseguirsi dei giorni e degli eventi
futuri e pensare sorridendo al succedersi degli anni. Se uno è saldo di fronte
all'incerto, non può turbarlo la varietà e l'incostanza dei casi della vita.
10. Affrettati, perciò a vivere, Lucilio mio, e i singoli giorni siano per te
una vita. Chi si forma così e ogni giorno vive compiutamente la sua vita,
è tranquillo: se uno vive nella speranza, si sente sfuggire anche il tempo più
vicino e subentra in lui l'avidità della vita e l'infelicissima paura della
morte che rende altrettanto infelice ogni cosa. Nasce da qui quel
vergognosissimo voto di Mecenate che non rifiuta malattie e deformità e in
ultimo il supplizio del palo, pur di continuare a vivere anche tra queste
sventure:
11
rendimi storpio di una mano, zoppo di una gamba, fammi crescere la gobba, fammi
cadere i denti: purché continui a vivere, va bene; conservami la vita anche su
un palo di tortura.
12 Egli si augura un
destino che sarebbe molto infelice, se si realizzasse, e pur di vivere, chiede
un supplizio continuo. Lo considererei già spregevolissimo se volesse vivere
fino al momento di salire al patibolo: "Storpiami pure," dice,
"purché lo spirito vitale rimanga in questo corpo senza forze e
inservibile; sfigurami, purché, mostruoso e deforme, io possa vivere ancòra un
po'; impalami, crocifiggimi": vale la pena comprimere la propria ferita e
penzolare dalla forca con gli arti slogati, pur di rimandare la cosa più
desiderabile quando si soffre: la fine dei tormenti? Val la pena di avere la
vita per esalarla? 13 Che cosa potresti augurargli se non la benevolenza degli
dèi? A che mirano questi versi turpemente effeminati? A che questo patto nato
da una paura insensatissima? E questo mendicare così sconciamente la vita?
Potresti pensare che Virgilio abbia mai recitato a Mecenate questo verso:
Morire è, dunque,
così triste?
Egli si augura i mali
più atroci e desidera prolungare e sopportare le sofferenze più terribili: che
ci guadagna? Una vita più lunga naturalmente. Ma che vita è agonizzare a lungo?
14 C'è qualcuno che preferisce consumarsi tra i tormenti, morire membro a
membro ed esalare l'anima ripetutamente in uno stillicidio, invece che morire
in un sol colpo? C'è qualcuno che vuole prolungare una vita fonte di tante
sofferenze, attaccato a quel maledetto palo, ormai storpio, deforme, con una
gobba ripugnante sulla schiena e sul petto, quando avrebbe avuto molti motivi
per morire anche senza arrivare alla croce? E dimmi ora che non è un grande
beneficio della natura l'ineluttabilità della morte. 15 Molti sono pronti a
fare patti ancòra più vergognosi: anche a tradire un amico per vivere più a lungo,
e a consegnare di persona i figli allo stupro, pur di poter vedere la luce,
testimone di tanti delitti. Scuotiamoci di dosso questa smania di vivere e
impariamo che non importa quando subiremo quello che dobbiamo prima o poi
subire; conta vivere bene, non vivere a lungo; ma spesso il vivere bene
consiste proprio nel non vivere a lungo.
Stammi bene.
TRATTO DA
"Lettere a Lucilio" - Seneca
Nessun commento:
Posta un commento
Scrivi un tuo commento: