Le vittorie di Letta sono quantitativamente insignificanti e servono a non
parlare dei vizi strutturali macroeconomici dell’Eurosistema
Letta esulta. Dal potere europeo ha ottenuto 1,5 miliardi la settimana
scorsa, spendibili in 2 anni dal prossimo gennaio; e ieri altri 7 miliardi in
cofinanziamento, cioè 3,5 messi dall’Italia e 3,5 messi dall’UE, però con soldi
dei contributi italiani, grazie a una deroga al plafond del 3% di disavanzo
pubblico. Sostanzialmente si tratta, quindi In tutto, cioè, per il 2014,
dell’autorizzazione a spendere soldi quasi tutti nostri per un importo
di circa 7,75 miliardi, pari a meno dell’1% della spesa pubblica complessiva, a
meno dello 0,5% del pil, a meno del 50% da meno del 20% di quanto l’Italia ha
versato nel MES, a meno del 3% dei capitali italiani fuggiti all’estero sotto
l’azione del governo Monti, a circa lo 0,7% della svalutazione del
patrimonio immobiliare nazionale durante governo Monti, a circa il 25% del calo
del pil previsto per quest’anno. Ma Letta esulta e nei sondaggi cresce:
l’impatto psicologico è soggettivo e non risponde ai numeri oggettivi. E opera
sull’immediato, non tenendo conto delle scadenze di autunno: ammortizzatori
sociali, imu, iva, F35, ondata di licenziamenti, legge di bilancio, etc.
Altro dato socio-psicologico: governo e mass media codificano simili
successi in questi termini: siamo stati obbedienti al modello
economico-finanziario dominante e alla conseguenti prescrizioni
dell’Autorità, quindi il potere effettivo ci premia permettendoci di spendere
di più (dei nostri soldi) e dandoci da spendere un po’ di soldi suoi (una
piccola parte quelli che le avevamo versato noi). Una visione, quindi,
paternalistica, nella quale vi è appunto un’Autorità ontologicamente nel vero e
nel giusto, ontologicamente legittimata, che ci insegna come funziona
l’economia, che ci dice come dobbiamo fare, che ci punisce se non obbediamo,
che ci premia se obbediamo (compiti a casa) – peraltro il premio consiste
nel lasciarsi usare i soldi nostri o nel renderci un po’ di quelli che le
abbiamo dati. In questa visione, di tipo autoritario, antiscientifico e
dogmatico, non è previsto che si verifichi se il modello economico-finanziario
adottato sia stato confermato o smentito dai fatti e se e le ricette prescritte
abbiano avuto gli effetti promessi oppure siano state smentite. Quello che
conta è il rapporto di approvazione-disapprovazione con l’Autorità, non di
successo-insuccesso con la realtà.
La visione scientifica e laica è opposta: non esiste alcuna Autorità a
priori (al di sopra dei fatti), invece si mettono a confronto i diversi
modelli economico-finanziari delle diverse scuole, e si controlla, nel breve,
medio e lungo periodo, le conferme e le smentite che i dati di fatto hanno dato
a ciascun modello. Al medesimo modo, si prende il sistema finanziario
adottato nell’Eurozona con le sue regole e policies, e si controlla che effetti
ha avuto nella realtà sui vari paesi e sui vari comparti, in termini di
andamento e tendenza del pil, del debito, di occupazione, di domanda, di
investimenti, di bilance commerciali, di convergenza tra i sistemi-paese, etc.,
e si accerta se e quanto funziona, chi avvantaggi, chi svantaggia, se è
sostenibile, etc. Se non ha funzionato, se ha causato danni, tendenze nocive,
maggiori divergenze, allora obbedirgli è stupido, va cambiato o abbandonato.
L’adozione dell’Eurosistema, ossia di un sistema di cambi fissi tra i paesi
aderenti, mantenendo separati i loro debiti pubblici e stabilendo che questi
dovessero essere finanziati sui mercati speculativi globali, territorio di
caccia di pochi grandi gruppi privati sovranazionali, che li manipolano, poneva
un problema ovvio e gigantesco: come compensare gli sbilanci delle partite
correnti tra i paesi membri, dato che i meno efficienti avrebbero importato di
più ed esportato di meno, finendo per indebitarsi verso quelli più efficienti,
cioè finendo per dover pagare loro flussi di interessi notevoli, il che
avrebbe peggiorato ulteriormente la loro efficienza e competitività, in un
avvitamento letale – che è ciò che stiamo vivendo in Italia. Oltre al fatto che
i paesi debitori non hanno potere negoziale, il quale invece si concentra in
mano ai paesi creditori, dando così a questi l’egemonia sulle strutture comuni
e il modo di usarle sempre più nel proprio interesse a spese dei paesi
debitori.
Nella federazione nordamericana, cioè negli USA, questo problema è stato
risolto grazie a un unico bilancio federale, a un debito pubblico unico e
comune di tutti gli Stati federati, e a un’autorità centrale che trasferisce
gli attivi, gli avanzi, del commercio intestate dagli Stati in attivo a quelli
in passivo, attraverso la spesa pubblica, e impedisce il default dei singoli
Stati.
In Europa ciò è mancato, non è stato fatto, ed è il più importante dei
difetti, la causa primaria del malandare. E ovviamente non se ne parla
all’opinione pubblica. E non si fa nulla per correggerlo nelle sedi
europee. Letta esulta, ma non dice che, sul piano macro, non vi è stata, per
compensare gli squilibri delle partite correnti entro l’eurozona, l’ammissione
dell’interdipendenza organica tra gli euro-paesi con l’istituzione di un
euro ministero federale delle finanze che compensasse gli squilibri imponendo ai
paesi con notevole e strutturale avanzo di reinvestirlo, in parte, nei paesi
con disavanzo, e di neutralizzarlo, in parte, mediante l’aumento della domanda
interna. Vi è stata, invece, la diabolica scelta - diabolica perché
divisiva, contrapponente – da parte della Commissione europea, di stabilire che
sono accettabili (e non si deve intervenire) disavanzi delle partite
correnti fino al 4%, ma surplus fino al 6%! Così la Germania è stata in
reagola mentre, anno dopo anno, comprimendo i salari e la spesa pubblica,
accumulava avanzi su avanzi, crediti su crediti, negli scambi intra-euro, con
pari accumularsi di disavanzi e debiti e maggiori interessi passivi a crico dei
paesi periferici, fino agli attuali scompensi critici.
In Europa vi è stata, conseguentemente al rifiuto di riconoscere
l’interdipendenza economico-finanziaria, l’imposizione del principio “ciascuno
per sé faccia i compiti a casa”, ossia che chi è in disavanzo di partite
correnti debba e possa pareggiare (procurarsi denaro) solo offrendo alti tassi
e tagliando i salari per competere nelle esportazioni, mentre i paesi già
competitivi aumentano la loro competitività grazie all’afflusso dei capitali in
fuga dal fisco e dall’instabilità e dalla recessione dei paesi deboli, e
al conseguente minor costo del denaro . E ciò ha diminuito e sta
diminuendo sempre più la competitività del sistema-paese Italia, perché genera
una spirale negativa, implosiva, di tassi-tasse-tagli-decrescita-deflusso
dei capitali-demonetazione-credit crunch-insolvenze. Mentre aumenta
l’indebitamento dell’Italia e degli altri paesi periferici verso i paesi
euroforti. Nonché l’emigrazione nella medesima direzione oltre che verso
altri paesi extra-euro che si difendono grazie al mantenimento di una certa
autosufficienza monetaria, come Regno Unito, USA, Giappone, Cina.
E di questo perverso meccanismo macro BCE, Commissione, FMI. il
governo e i partiti non vogliono proprio parlare né che si parli. Il fatto che
il governone Letta non apra questa discussione, che è quella che conta, in sede
europea, ma si accontenti di più flessibilità e di qualche premio di buona
condotta da parte dell’Autorità europea, lo palesa quale inutile arca di Noè
della partitocrazia parassitaria la quale, pur essendo causa essenziale del
male nazionale, continua a millantarsi, all’interno, come soluzione di quel
male per non mollare colli e poltrone. E a offrirsi, all’esterno, come garante
degli interessi del capitalismo straniero sul nostro paese.
04.07.13 Marco Della Luna
Nessun commento:
Posta un commento
Scrivi un tuo commento: