Presa diretta è un programma,
diciamo politico, trasmesso settimanalmente da Rai/3 (una volta indacata come Radio Kabul). Ebbene il giorno 2
settembre 2013, il conduttore Riccardo Lacona, scrupolosamente con un
brillantino all’orecchio sinistro, certamente per essere consono alla way of life yankee, ad un certo punto
della trasmissione intervistò un
signore. Questi era seduto in uno stanzone, dietro a lui, sullo sfondo, si
intravedeva un grande quadro raffigurante Karl Marx; rispondendo ad una domanda
del conduttore disse che per uscire dalla crisi che ci attanaglia, dovremmo
fare quel che fece negli anni ’30 Franklin D. Roosevelt. Data l’enormità della
bestemmia non potei trattenermi dal fare un balzo dal divano dove ero seduto.
Provo a spiegarne il motivo.
Per prima cosa prego i lettori di leggere attentamente e di tenerlo ben
presente anche oltre la fine della lettura, quanto ebbe a dire l’allora futuro
Presidente Usa Woodrom Wilson. Questi tenne una lezione alla Columbia
University e, sfacciatamente, così caricò la mentalità predatoria degli studenti americani: <Dal momento che il commercio ignora i
confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la
bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse
devono essere abbattute… Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere
salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la
sovranità delle nazioni recalcitranti… Vanno conquistate e impiantate colonie,
affinché al mondo non resti un solo angolo trascurato o inutilizzato>.
Sarebbero sufficienti queste parole per comprendere “come siamo ridotti oggi!”. Ma non basta, tanto è sufficiente per
esclamare: e pensare che in Europa ci
sono ancora tanti idioti che festeggiano la data della “liberazione” del 1945!
Ma la lezione di Woodrom
Wilson è solo un passaggio; vediamo le sue radici.
Quello che poi sarà il primo Presidente degli Stati Uniti, George
Washington profetizzò quella che sarà la guerra contro l’Europa (cito a
memoria): <Quelli che sono i mali
dell’Europa, dovranno diventare i nostri beni>. Pochi decenni dopo
subentrò colui che sarà il quinto Presidente Usa, James Monroe con la sua
famosa Dottrina, detta,
impropriamente: Dottrina Monroe (2
dicembre 1823): essa sanciva che il continente americano (tutto, incluso quello
meridionale!) non era un territorio destinato alla colonizzazione europea e che
ogni tentativo delle potenze europee di estendere la loro influenza sul
continente americano sarebbe stato considerato dagli Stati Uniti come una
minaccia. In altre parole gli Stati Uniti ponevano la propria sovranità non
solo sull’America del Nord (che sarebbe pure stato giusto e ovvio), ma su tutto
il “continente americano”, quindi
anche sull’America meridionale. Infatti non tardò molto che gli statunitensi si avvalsero di questo diritto (?).
E questo diritto sarà
esercitato non solo sul continente americano tutto, ma su ogni angolo del
mondo, grazie all’alleanza massonica della diabolica
triade Francia-Gran Bretagna-Stati Uniti. Gli effettivi padroni del mondo,
anche grazie alla scarsa capacità politica dimostrata nel XX Secolo. Le prime
due cadranno da Potenze Mondiali,
lasciando il posto alla terza, quella cioè, come ha scritto Bernhard Shaw: <Gli Stati Uniti sono l’unico Paese
occidentale ad essere passati da uno stato di barbarie ad uno di decadenza
senza essersi fermati in quello della
civiltà>. Quindi siamo messi bene! Da Bernhard Shaw, anche il direttore
della rivista Harper’s: <Nel 1945 gli Stati Uniti hanno ereditato la
terra… Alla fine della seconda guerra mondiale, quello che era rimasto della
civiltà occidentale passò sotto la responsabilità americana>. E siamo
come stiamo!
Torniamo alla ci a zeta zeta a ta proferita dal capiscine di turno nella ricordata trasmissione Presa diretta e cioè che per uscire dalla crisi dovremo fare come Roosevelt negli anni ’30.
Anticipo che negli anni ’30 tutto il mondo – ad eccezione di Italia e
Germania – affogavano nella crisi congiunturale iniziata nel 1929. Si facciano
forza il capiscione e il signor
Riccardo Lacona, ma quanto segue è la verità VERA. In merito sentiamo quanto
hanno scritto su “L’Economia Italiana fra
le due Guerre” Giorgio De Angelis, laureato in Scienze politiche
all’Università di Roma: <L’onda d’urto
provocata dal risanamento monetario non colse affatto di sorpresa la compagine
governativa (per intenderci guidata da Benito Mussolini, nda)… L’opera di
risanamento monetario, accompagnata da un primo riordino del sistema bancario,
permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizioni di sanità generale
la grande depressione mondiale sul finire del 1929 (…)>. E, sempre nello
stesso volume, il professor Gaetano Trupiano, a pag. 169, afferma: <Nel 1929, al momento della crisi mondiale,
l’Italia presentava una situazione della finanza pubblica in gran parte
risanata; erano stati sistemati i debiti di guerra, si era proceduto al consolidamento
del debito fluttuante con una riduzione degli oneri per interessi e le
assicurazioni sociali avevano registrato un sensibile sviluppo>.
Ed ora altre citazioni .
J.P. Diggins (L’America, Mussolini
e il Fascismo) a pag. 45 ha scritto: <Negli anni Trenta lo Stato Corporativo sembrò una fucina di fumanti
industrie. Mentre l’America annaspava, il progresso dell’Italia (…). In
confronto all’inettitudine con cui il presidente Hoover affrontò la crisi
economica, il dittatore italiano appariva un modello di attività>. E
ancora: il giornale Noradni Novnij di
Brno, il 15 dicembre 1933, scriveva: <(…).
In Italia il piano Mussolini rende una popolazione felice e nuove città sorgono
in mezzo a terre redente, coperte ovunque di biondi cereali>.
Caro
Capiscione e caro signor Riccardo
Lacuna, un invito accettatelo, se siete solo ignoranti vi suggerisco di andare
a leggere la Storia (quella vera); se invece la vostra è solo malafede, beh!
Continuate così. Però aggiungo: l’Italia sotto il male assoluto, pur essendo una piccola provincia in una grande
Europa, tuttavia dettava leggi al mondo. Una prova? Una volta eletto Roosevelt,
(e questo nel dopoguerra venne accuratamente nascosto) inviò nel 1934, in
Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i suoi più preparati uomini del
Brain Trust per studiare il miracolo italiano.
Lucio Villari ha scritto: <Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di
un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza
distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione
e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in
un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>. Roosevelt inviò Rexford Tugwell a
Roma per incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del
Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda il fatto tratto dal diario inedito di
Rexford Tugwell in data 22 ottobre 1934 (Anche l’Economia Italiana tra le due Guerre, ne riporta alcune parti; pag.
123): <Mi dicono che dovrò incontrarmi
con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti come
anche l’efficienza dell’amministrazione italiana, è il più pulito, il più
lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi
rende invidioso… Ma ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o
forse no>. Molti economisti americani, vedevano nel Corporativismo
italiano il coordinamento economico statale necessario davanti alla bancarotta
liberista del lassez-faire, quindi
suggerirono a Roosevelt di introdurre anche negli Stati Uniti qualcosa di
simile al corporativismo italiano, il New
Deal. Così nel 1933 (attenzione alla data signor Capiscione) Roosevelt firmò il First
New Deal e il Second New Deal
venne firmato nel 1934-1936.
Lo
stesso Bernhard Shaw affermò che <lo Stato corporativo fascista costituiva il grande avvenimento del secolo>. Fu un grande
avvenimento, ma costituiva un ulteriore motivo di attrito con quei Paesi
che adottavano il sistema liberista in economia e questo aggravato ancor più
dal fatto che in quasi tutti i Paesi del mondo sorgevano partiti o movimenti
tendenti a seguire l’esempio italiano.
Che
l’Italia fosse sulla strada giusta è attestato proprio da colui che è
considerato uno dei maggiori scrittori del secolo: Giuseppe Prezzolini.
Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era solito dire) a Perugia
il 27 gennaio 1882 (morì, centenario, a Lugano nel 1982). Iniziò la sua
attività di giornalista ed editore appena ventunenne. Dopo aver partecipato
alla Prima Guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti nel 1929; ma, come poi
scriverà, non mancherà di tornare frequentemente in Italia. Dopo uno di questi
viaggi compiuto nei primi anni Trenta, scrisse: <Le mie
impressioni possono forse parere
semplici per i lettori italiani, ma hanno però lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto
e un controllo. Pace in questa Italia: ecco il primo sentimento certo che si
prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno. La pace degli
animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi
e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in
apparenza maggiore. Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non
ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono
sempre lire e lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno di guardie del
corpo per salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la
taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una
generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Nel
resto del mondo vi sono momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo
più pacifico pensano che sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver
(…). Il popolo italiano appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle
risse; sale sui monti in folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio,
dei fiori, dei colori e dell’aria. I discorsi e i commenti che vi senti,
lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha
un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio vestito di
un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella
generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più,
viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come
altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare
senza dubbio più contento>.
Il
grande banchiere americano John P. Morgan sembra condividere l’opinione di
Prezzolini: <In America i nostri uomini politici non si curano
se non di un problema, quello della loro rielezione. Tutto il resto non li
interessa che mediocremente. Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini,
avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia
in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini>.
E questo, e tanto altro ancora in Italia,
mentre l’America in quegli anni ancora navigava
nella grande congiuntura che portava centinaia di persone al suicidio
per la disperazione e la miseria.
La grande Nazione americana
doveva provvedere ad assistere 13 milioni di disoccupati. Questo, mentre
l’Italia fascista era impegnata in una pianificazione economica di vasta
portata. Il Presidente americano intravide nel piano italiano i mezzi necessari
per porre rimedio ai mali esplosi nel 1929; nel contempo quegli stessi mezzi
potevano essere utilizzati per evitare che nel futuro il Paese potesse cadere
nella medesima crisi. Roosevelt imboccò quella strada utilizzando, però, mezzi
e leggi non proprio conformi ad una democrazia.
Con questa definizione ci riferiamo all’Executive
Order 6102 a firma di Franklin D. Roosevelt: con tale Order veniva imposto agli americani di consegnare tutto l’oro alla Federal Riserve. A questa imposizione
faceva eccezione l’oro utilizzato per scopi professionali, ad esempio, per i
dentisti. Chi non ottemperava rischiava una pena di 10 mila dollari (del valore
del tempo) e fino a 10 anni di carcere. In Italia, invece, proprio in quegli
anni, sotto la dittatura mussoliniana
vennero offerti alla Patria, con spontaneità ed entusiasmo, oltre 33 mila chili
d’oro e più di 94 mila chili d’argento. Il testo, in lingua originale dell’Executive Order, viene riportato in
Appendice n° 3 e 4 nel mio ultimo libro Le
Guerre di Mussolini? (attenzione al punto interrogativo).
Oggi la triade gangsteristica,
Usa, Gran Bretagna e Francia, o quel che rimane dei soliti noti, stanno organizzando un nuovo attacco, questa volta
tocca alla Siria, Le giustificazioni sono le solite banali, e pre-costruite.
E la solita storia che si ripete
da almeno quattro secoli.
Filippo Giannini
Non riesco a trattenermi. Ci siamo dimenticati di essere ITALIANI!!! Cazzo sveglia!!!! SVEGLIAAAA!!! Bruno
RispondiEliminaPur provenendo da una "cultura" di sinistra, che mi sono poi reso conto mi è stata inculcata negli anni dell'istruzione pubblica obbligatoria, ultimamente ho potuto rivalutare l'operato di Mussolini e Hitler. Mi sono reso conto che la verità è sempre nel mezzo e che la storia la riscrivono i vincitori. Ma secondo voi, qual'è stato il vero errore di Mussolini?
RispondiElimina