Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come all'esempio
perfetto di un paese che in appena due decenni è riuscito ad affondare dalla
posizione di nazione industriale prospera e all'avanguardia, alla condizione di
incontrastata desertificazione economica, assolutamente pessima gestione
demografica, "terzomondizzazione" rampante, tracollo della produzione
culturale, e completo caos politico-istituzionale.
In un breve post in questo stesso blog, la situazione disastrosa dell'economia
italiana è stata brevemente descritta.
A pochi mesi di distanza, lo scenario di un serio disordine nelle finanze dello
stato italiano si sta consolidando, con l'introito fiscale che si è contratto
del 7% in luglio, il rapporto deficit/PIL proiettato di nuovo ben oltre la
soglia obbligatoria del 3%, e il debito pubblico ben oltre il 130% del PIL. E
peggiorerà. Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma
per il momento è solo capace di ricorerre ad un aumento dell'IVA estremamente
miope (fino a toccare lo sbalorditivo 22%) che deprimerà ancora di più i
consumi, e di vaghi proclami sulla necessità di spostare il carico fiscale
dagli stipendi e le aziende alle rendite finanziarie, nonostante la probabilità
che questo sia messo in pratica siano di fatto trascurabili.
Per tutta l'estate, i politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato
la popolazione con messaggi su un'imminente ripresa. In effetti, per
un'economia che ha perso circa l'8% del PIL non è impossibile uno o più
trimestri positivi. Tuttavia, è una profonda distorsione semantica
elementare chiamare un recupero annuale del (forse) 0,3% una
"ripresa", considerando il disastro economico degli ultimi 5 anni.
Sarebbe più corretto parlare di transizione da una severa recessione a una
sorta di stagnazione. Sfortunatamente, come i protagonisti di una tragedia
greca, i leader italiani sono stati privati dagli dei anche di questo pietoso e
illusorio sogno di stagnazione. I dati economici dei mesi estivi mostrano che
il declino economico è lungi dall'essere finito.
Uno studio recente indica che il 15% dell'industria manifatturiera italiana,
che prima della crisi era la maggiore in Europa dopo la Germania, è stato
distrutto, e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questi dati da soli mostrano
l'entità immensa, sostanzialmente irreparabile, del danno che il paese sta
subendo. Secondo l'autore, le radici di questa situazione sono nella cultura
politica immensamente degradata dell'elite del paese, che, negli ultimi
decenni, ha negoziato e firmato innumerevoli accordi e trattati internazionali
senza nemmeno considerare gli interessi economici del paese e senza alcun
ragionevole progetto per il suo futuro. L'Italia non avrebbe potuto entrare
nell'ultima ondata della globalizzazione in condizioni peggiori. I leader del
paese non hanno mai riconosciuto che l'apertura indiscriminata ai prodotti
industriali leggeri dell'Asia avrebbe distrutto le industrie italiane che prima
erano leader negli stessi settori. Hanno firmato gli euro trattati promettendo
ai partner europei riforme che non sono mai state attuate, ma impegnandosi in
pieno alle politiche di austerità. Hanno firmato il regolamento di Dublino sui
confini europei sapendo perfettamente che l'Italia non è minimamente capace
(come mostrato dal continuo influsso di immigranti clandestini a Lampedusa e
gli inevitabili incidenti mortali) di controllare e proteggere i suoi confini.
Di conseguenza, l'Italia si è trovata imprigionata in una rete di strutture
legali che stanno rendendo la completa scomparsa della nazione praticamente
certa.
L'Italia al momento ha la più alta tassazione sull'impresa in Europa, e una fra
le più alte del mondo. Questo fattore, insieme a un mix fatale di terribile
gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente e
burocrazia inefficiente, che include la più lenta e inaffidabile giustizia in
Europa, sta spingendo tutti i rimanenti imprenditori fuori dal paese. Questa
volta non solo verso destinazioni con basso costo del lavoro, come l'Asia orientale
e meridionale, ma un grande flusso di aziende italiane si sta riversando nelle
confinandi Svizzera e Austria, dove, nonostante il costo del lavoro
relativamente alto, le aziende trovano un vero stato che collabora con loro,
invece di sabotarle. Un evento recente organizzato dalla città svizzera di
Chiasso (vicino al confine italiano) per illustrare le opportunità di
investimento nel Canton Ticino, ha avuto la partecipazione di una folla di 250
imprenditori italiani.
La scomparsa dell'Italia come nazione industriale è anche riflessa nel livello
senza precedenti della fuga di cervelli, con decine di migliaia di giovani
ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran
Bretagna, Scandinavia, come anche in Nord America e Asia orientale.
In definitiva, chiunque nel paese produca qualcosa di valore, insieme alla
maggior parte della popolazione istruita, se ne sta andando, sta progettando di
andarsene, o vorrebbe andarsene. In effetti l'Italia è diventata un posto per
una sorta di saccheggio demografico dalla prospettiva di altri paesi più
organizzati, che da molto hanno visto l'opportunità di attrarre facilmente
lavoratori altamente qualificati, spesso educati a spese dello stato italiano,
semplicemente offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non vedranno
mai se resteranno in Italia.
Tutto questo sembra non preoccupare la leadership politica italiana. Da una
parte, il paese è prigioniero di un duopolio culturale: o è cultura cattolica,
o è cultura socialista. Entrambe sono preoccupate con ambizioni universali
(piuttosto escatologiche e sempre più antimoderniste) che rendono la
prospettiva nazionale non viabile per loro. In effetti, lo stato italiano fu
creato da conservatori liberali e monarchici modernisti, a volte animati da
forme virulente di anticlericalismo, essenzialmente l'opposto dell'elite
politica odierna. Non sorprende che quanto viene raggiunto dai primi, viene
disfato dai secondi. Il problema tuttavia non è tanto lo smantellamento dello
stato nazione, ma che lo stato nazione non verrà rimpiazzato da alcun
significativo progetto politico, lasciando il posto, sostanzialmente, al caos.
Dall'altra parte, l'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale.
Siccome i politici di partito hanno portato il paese al quasi-collasso nel
2011, un evento che avrebbe avuto serie conseguenze globali, il paese è stato
essenzialmente preso in mano da un piccolo numero di tecnocrati provenienti
dall'ufficio del presidente della repubblica, i burocrati di diversi ministeri
chiave e la Banca d'Italia. Il loro compito è di garantire la stabilità
dell'Italia rispetto all'Europa e ai mercati finanziari, a qualsiasi costo.
Finora questo è stato raggiunto mettendo da parte entrambi gli schieramenti
politici e il parlamento al livelli senza precedenti, e con un onnipresente e
costituzionalmente discutibile interventismo del presidente della repubblica,
che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano ancora
ufficialmente parlamentare. L'interventismo del presidente è particolarmente
evidente nella creazione del governo Monti e dell'odierno governo Letta, che
sono entrambi espressione diretta del Quirinale. Il punto è che, laddove i
politici hanno fallito, i tecnocrati sperano di riuscire. L'illusione, che molti
italiani stanno coltivando credendo che il presidente, la Banca d'Italia, e la
burocrazia sanno meglio come salvare il paese, è ora molto diffusa. Resteranno
amaramente delusi. La leadership corrente, sia tecnocratica che politica, non
ha l'abilità, e forse neppure l'intenzione, di salvare il paese dalla rovina.
Al contrario, sarebbe facile dimostrare che le politiche di Monti hanno
esacerbato una recessione già severa. Letta sta seguendo esattamente la stessa
strada. Ma tutto deve essere sacrificato nel nome della stabilità. I tecnocrati
condividono lo stesso background culturale dei partiti politici, e sono
riusciti a salire alle loro attuali posizioni in simbiosi con essi: di
conseguenza è ingenuo pensare che otterranno risultati migliori, perchè sono
anche incapaci di avere alcuna visione di lungo termine per il paese. In
effetti sono i garanti della scomparsa dell'Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero incredibile. Questo non è
sicuramente esclusiva dell'Italia, dal momento che la maggior parte se non
tutti i paesi occidentali stanno subendo terzomondizzazione rampante. Italia ha
semplicemente meno "capitale" economico e sociale da bruciare
rispetto alla Germania e ad altri paesi nordici. Ma deve essere chiaro che, continuando
in questo modo, non resterà nulla dell'Italia come moderna nazione industriale
in meno di una generazione. Ma già fra una decina d'anni intere regioni del
paese, come la Sardegna o la Liguria, saranno già demograficamente così
compromesse che potrebbero non riprendersi più. I fondatori dello stato
italiano 150 anni fa avevano combattuto fino alla morte nella speranza di
riportare l'Italia in una posizione centrale quale miracolo culturale ed
economico all'interno del mondo occidentale, come quella che occupava nel tardo
medioevo e nel rinascimento. Quel progetto ora è completamente fallito, da una
parte proprio con l'abbandono dell'idea culturale di avere ambizioni politiche
significative aldilà della semplice amministrazione giorno per giorno,
dall'altre con il messianico (ma di fatto insensato) universalismo teso a
salvare il mondo anche a spese della propria comunità politica. A meno di un
miracolo, ci potrebbero volere secoli per ricostruire l'Italia. Al momento,
sembra una causa completamente persa.
Roberto Orsi
(Traduzione dal sito della London School of Economics a cura di Mandragola)
La sQuola economica di londra ci avverte del problema della terzomondializzazione dell'occidente... peccato dimentichi di citarne le vere cause, ovvero LORO STESSI che prima hanno distrutto l'inghilterra e adesso lo stanno facendo con l'europa... perchè anche la "GRANTE CERMANIA" non potrà continuare a truccare i conti per sempre facendo il giochino delle 3 carte dividendo il suo debito, esportando per sempre, pagando i minijob e tenendo in pancia miliardi di derivati pronti ad esplodere.
RispondiEliminaQueste cose erano chiare fin dagli anni 80 anche al presidente del Burkina Faso Thomas Sankarà
« Per l'imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità. » (Thomas Sankara)
Il discorso all'ONU per il quale Thomas Sankara è stato ucciso
http://www.youtube.com/watch?v=KmXj3slmSdo
minuto 8:48
ma perchè non commenta che Al Senato è passata con la maggioranza di 2/3, per soli 4 voti (218 a favore contro i 214 necessari, 58 contrari tra cui il M5S, 12 astenuti) la deroga all'articolo 138 della Carta Costituzionale. In questo modo se a dicembre alla Camera lo stesso provvedimento sarà approvato con la maggioranza di 2/3, non verrà obbligatoriamente indetto il referendum confermativo. In pratica non si chiederà il parere dei cittadini sull'istituzione di un comitato di soli 42 parlamentari che avrà mano libera di cambiare la Costituzione al posto dell'intero parlamento, il quale si esprimerà solo sulla proposta finale.
RispondiEliminaFallo TU!
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