giovedì 12 dicembre 2013

IMPRESE ITALIANE IN SVENDITA



Un popolo di imprenditori, un Paese disseminato di imprese. Questa era l’Italia. Le imprese ci sono ancora ma la proprietà è ormai in mani straniere. Un fenomeno che riguarda molti nomi storici che facevano risaltare il made in Italy. Così, dal 2008 al 2012, sono stati ben 437 i marchi italiani che sono stati venduti. Dalla Lamborghini all’Algida, per una spesa di circa 55 miliardi di euro. Marchi d'eccellenza nati e sviluppati in Italia, il simbolo stesso della nostra migliore produzione artigianale, che hanno attraversato momenti di successo e di crisi, e che hanno cambiato proprietà e bandiera. Una deriva che ha investito tutti i comparti produttivi, come alimentari e bevande, automazione-meccanica, abbigliamento-moda e arredamento e prodotti per la casa. Il rapporto dell’Eurispes sottolinea che molte delle nostre migliori realtà imprenditoriali sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa, da una iperburocratizzazione della macchina amministrativa, da una tassazione iniqua, alla mancanza di aiuti e di tutele e dall'impossibilità di accesso al credito bancario. L'intreccio di tali fattori ha inciso sulla mortalità delle imprese creando una sorta di mercato malato all'interno del quale la chiusura di realtà imprenditoriali importanti per tipologia di produzione e per conoscenze tecnologiche (il know how) si è accompagnata spesso a una svendita (prima o dopo la chiusura) che si è resa necessaria di fronte all'impossibilità di proseguire l'attività e per salvare i vecchi proprietari da conseguenze patrimoniali personali. Per il sindacato, dentro l’attuale sistema finanziario sempre più immateriale e senza patria, è ancora più arduo ricostruire l'origine e i percorsi dei capitali impiegati e dei vari interessi che ad essi sono riconducibili. Una cosa è però sicura: questi interessi, il più delle volte, non corrispondano a delle vere vocazioni imprenditoriali, ma funzionano secondo la logica del massimo profitto nel breve termine.
Il tragico è che la svendita del nostro sistema produttivo ci impoverisce sia dal lato economico, poiché siamo costretti a vendere a un prezzo inferiore a quello reale. Sia perché perdiamo attività patrimoniali e imprenditoriali  che sono di difficile quantificazione economica. Infatti, con la svendita a soggetti esteri, vengono meno la tradizione, l'esperienza e la storia presenti in ciascuna delle aziende svendute. C’è poi il problema occupazionale. Una volta acquistata un'azienda che prima operava in Italia, diventa spesso  più conveniente delocalizzare la produzione in Paesi con minor costo del lavoro, con meno burocrazia e con normative più elastiche di quelle italiane in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela della salute dei consumatori.  Si perde così una nutrita schiera di personale specializzato e crolla inevitabilmente il livello di qualità del prodotto.
 
Giuliano Augusto



FONTE: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22764


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