Detroit, la bancarotta del sistema
Con una sentenza interamente politica e dalle chiarissime
connotazioni di classe, un giudice fallimentare americano nella giornata di
martedì ha stabilito la legittimità della procedura di bancarotta presentata da
Detroit, dando di fatto il via libera all’assalto alle pensioni di decine di
migliaia di ex dipendenti pubblici e alla liquidazione dei rimanenti beni
cittadini. Quello della metropoli del Michigan è il fallimento municipale più
importante della storia degli Stati Uniti ed è giunto dopo mesi di manovre
dietro le quinte da parte di un’intera classe politica che è riuscita a creare
un vero e proprio modello di comportamento per altre amministrazioni locali in
difficoltà finanziarie, intenzionate a calpestare leggi e norme costituzionali
per smantellare i benefici conquistati dai lavoratori con anni di sacrifici. Il
punto più critico e dalle conseguenze potenzialmente più disastrose del
verdetto letto dal giudice federale Steven Rhodes stabilisce che,
contrariamente a quanto fissato nella Costituzione statale del Michigan, la
città di Detroit non ha alcun obbligo di mantenere i propri impegni finanziari
nei confronti dei dipendenti municipali in pensione. Nel processo di
fallimento, cioè, gli amministratori cittadini potranno ridurre drasticamente i
benefit pensionistici già accumulati, così da poter rimborsare i creditori, in
gran parte rappresentati da banche e istituti finanziari. La decisione del
giudice Rhodes istituisce un pericolosissimo precedente legale, grazie al quale
le amministrazioni locali negli Stati Uniti potranno appellarsi alla
legislazione fallimentare per cancellare le protezioni garantite alle pensioni
dei lavoratori del settore pubblico. Per quanto riguarda Detroit, la bancarotta
si tradurrà in sacrifici spesso devastanti per più di 23 mila persone. Come ha
spiegato un commento apparso mercoledì sul New York Times, questa sentenza avrà
conseguenze “a Chicago, Los Angeles, Philadelphia e in molte altre città
americane” alle prese con il peso crescente dei costi pensionistici. Per un
avvocato di Chicago esperto in diritto fallimentare sentito sempre dal
quotidiano newyorchese, infatti, “nessun tribunale fallimentare aveva finora
deliberato che le pensioni dei dipendenti pubblici non debbano essere
necessariamente protette da un procedimento federale di bancarotta”, così che
la sentenza del giudice Rhodes risulterà “istruttiva” per molti. L’opzione del
fallimento per una delle città in passato più floride e produttive degli Stati
Uniti è stata perseguita con determinazione da mesi dal commissario
straordinario di Detroit, l’avvocato di Wall Street vicino agli ambienti
del Partito Democratico, Kevyn Orr. Nominato lo scorso mese di marzo dal
governatore repubblicano del Michigan, Rick Snyder, quest’ultimo dopo la
sentenza di martedì ha subito minacciato che ci saranno “decisioni molto
difficili da prendere in merito alle pensioni”. Entro i primi giorni dell’anno,
Orr presenterà un “piano di aggiustamento” per pagare una parte dei 18 miliardi
di dollari di debiti che gravano su Detroit.
Nei prossimi mesi, perciò, oltre a condurre un attacco frontale
contro le pensioni pubbliche, il commissario non eletto di Detroit procederà
alla svendita di beni e aziende della città, compresi probabilmente i
capolavori dell’arte conservati nel Detroit Institute of Art (DIA). Questa
collezione è una delle più importanti a livello municipale degli Stati Uniti e
conserva opere, tra gli altri, di Bruegel, Caravaggio, Cézanne, Picasso, Renoir
e Van Gogh, nonché lo straordinario ciclo di affreschi murali di Diego Rivera
che documentano la storia della classe operaia a Detroit. Da tempo, Orr ha
incaricato la casa d’aste Christie’s di stimare il valore delle opere del DIA
in vista di una possibile svendita che andrebbe a beneficio di alcuni esponenti
dell’aristocrazia parassitaria statunitense, mentre un importante sindacato
nelle scorse settimane si era unito ai creditori della città nel chiedere ogni
sforzo per ricavare il massimo dai capolavori d’arte, definiti apertamente come
servizi “non essenziali” per la popolazione di Detroit. Nel decretare la
legittimità del procedimento di bancarotta, il giudice Rhodes ha inoltre
respinto la tesi di coloro che sostenevano, con piena ragione, che la richiesta
di fallimento fosse stata avanzata in “cattiva fede” e a seguito di
consultazioni segrete tra il commissario straordinario Orr, il governatore
Snyder e altri esponenti politici locali e dell’industria finanziaria. Una
serie di rivelazioni nei mesi scorsi aveva messo in luce come questi ultimi
avessero di fatto congiurato dietro le spalle degli abitanti di Detroit per
giungere ad un procedimento fallimentare, considerato come la via più breve per
“ristrutturare” pensioni, assicurazioni mediche e servizi pubblici che molto
difficilmente avrebbero potuto essere toccati attraverso la strada del
negoziato con le organizzazioni sindacali o perché protetti dalla Costituzione
dello stato. Proprio questa strategia, d’altra parte, è stata ratificata dal
giudice Rhodes martedì, quando, pur riconoscendo che il commissario Orr non
aveva effettivamente provato a trattare con i creditori per evitare la
bancarotta della città come prevede la legge, ha stabilito che la strada dei
negoziati era “impraticabile”, visto che le parti coinvolte erano più di 100
mila e Detroit si trovava ormai in una situazione finanziaria disperata. Il
baratro in cui si troverebbe Detroit, oltre ad essere stato ingigantito da Orr
e dagli altri principali esponenti politici locali, non è però in nessun modo il
risultato di una “dipendenza da debito” o dell’elargizione di benefici
“insostenibili” o “eccessivamente generosi” ai dipendenti della città nel corso
degli anni. Come ha dimostrato un recente studio del think tank Demos, infatti,
la crisi finanziaria della città del Michigan è dovuta in gran parte a
prestiti-truffa estorti da compagnie finanziarie senza scrupoli e ad altri
strumenti sottoscritti con svariate banche e creditori che ora finiranno per
beneficiare maggiormente del procedimento fallimentare. Più in generale, la
ricerca ha messo in luce come la crisi finanziaria sia il risultato del
“declino delle entrate cittadine durante il processo di de-industrializzazione”
patito da Detroit negli ultimi decenni, ma anche “della disoccupazione di
massa, dell’aumento della povertà e dei benefici fiscali assicurati alle
corporations” che ne sono conseguiti. “Contrariamente a quanto si crede”,
continua poi il documento di Demos, “Detroit non ha un problema di spesa
eccessiva”, dal momento che dall’inizio della recessione nel 2008 “le uscite
complessive della città sono scese di 356,3 milioni di dollari”, mentre “a
salire vertiginosamente sono stati i costi finanziari”. A tutto ciò vanno
aggiunti i tagli colossali dei fondi tradizionalmente trasferiti alle municipalità
del Michigan dallo stato stesso e che ammontano, solo negli ultimi anni sotto
la responsabilità del governatore Snyder e del suo predecessore, la democratica
Jennifer Granholm, a più di 700 milioni di dollari per la sola città di
Detroit.
La sorte di Detroit e dei suoi abitanti, perciò, è stata segnata
questa settimana da una decisione puramente politica che, andando contro la
legalità e l’evidenza dei fatti, assegna alla classe dirigente americana un
altro strumento formidabile per procedere nella drammatica ristrutturazione dei
rapporti di classe negli Stati Uniti, dopo che da tempo i procedimenti di
bancarotta vengono usati dalle grandi compagnie private per ottenere una
riduzione dei costi tramite il peggioramento delle condizioni economiche e di
lavoro dei propri dipendenti. Il fallimento di Detroit e la nuova devastazione
sociale prescritta ad una città che ha perso metà della propria popolazione
negli ultimi cinquant’anni darà così il via ad un inevitabile effetto domino in
tutto il paese. Significativamente, solo alcune ore dopo la sentenza del
giudice Rhodes, il parlamento locale del vicino Illinois ha approvato un
pacchetto di tagli al sistema pensionistico statale, anche in questo caso
calpestando le garanzie previste dalla Costituzione. Molte altre città
americane, infine, hanno già annunciato di essere pronte a seguire l’esempio di
Detroit, a cominciare dalla californiana Stockton - la città più grande degli
USA a presentare istanza di fallimento prima della metropoli del Michigan -
dove fino a martedì il piano di ristrutturazione delle autorità locali aveva
lasciato inalterate le pensioni dei dipendenti pubblici, i quali ora si
troveranno invece esposti a nuovi pesanti attacchi alle loro condizioni di
vita.
Michele Paris
VISTO SU: http://federiciblog.altervista.org/
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