mercoledì 18 dicembre 2013

LA MONETA FRANCA



            Il genio che mise a nudo la contraddizione pratica della forma di moneta convenzionale e ne propose il rimedio si chiamò Silvio Gesell (1862-1930), mercante tedesco trasferitosi in Argentina negli anni 1890.
            Costui propose un doppio divorzio: primo, quello della moneta dai metalli preziosi; secondo, quello dell’unità monetaria dall’oggetto che la rappresenta.
            Il primo divorzio ha avuto luogo in due tappe: il 21 settembre 1931 il Premier britannico MacDonald, con le lagrime agli occhi, annunziava che il Regno Unito avrebbe rinunciato al sistema aureo per sempre. Era stata la Grande Guerra a forzare il passo. Tutto l’oro del mondo non sarebbe bastato a finanziarne che poche settimane, altro che i quattro anni di carneficina che durò. Seguirono, uno dopo l’altro, tutti i paesi, man mano che si accorgevano che la carta poteva benissimo svolgere la funzione di portavalori.
            Il sistema aureo cadde dappertutto eccetto che negli Stati Uniti, dove Creso tenne banco fino al 1971.
            Chi si incaricò di farne crollare l’illusione fu De Gaulle, quando pretese oro di Fort Knox per la montagna di pezzi da 100 dollari che gli U.S.A. avevano appioppato alla Francia come “moneta di riserva”.[1]
            Il 15 agosto 1971 il Presidente Nixon buttava la spugna. Non c’era oro sufficiente, e il sistema aureo passò al dimenticatoio della storia.[2]
            Gesell fu discepolo di Proudhon (1809-65), il primo ad accorgersi che la moneta, lungi dall’aprire le porte del mercato, faceva da “chiavistello che le sbarra”. Proudhon aveva visto il problema, sbagliandone però la soluzione. Con domanda e offerta in perenne squilibrio, aveva proposto di far salire l’offerta al livello della domanda, aumentando la produzione di capitale fino a farne sparire l’interesse.
            Gesell mise allo scoperto il punto debole dell’argomentazione di Proudhon: l’offerta soffre i capricci del tempo, la moneta no. È possibile però farglieli soffrire, facendo così scendere la domanda a livello dell’offerta.
            Come? Emettendo moneta deperibile, cioè con data di emissione e di scadenza, da mantenere in circolazione pagando un’imposta sul valore nominale dello 0,1% per settimana, o 5,2% annuale.[3] La chiamò Freigeld (moneta franca) cioè libera da usura, e pertanto da inflazione e deflazione. Diamo un’occhiata al successo, sebbene di breve durata, della Moneta Franca.


La Prova del Fuoco

Il primo esperimento ebbe luogo a Schwanenkirchen, in Germania, nel 1930. Herr Hebecker, padrone di una miniera di carbone, la manteneva aperta in piena depressione economica emettendo Wära come mezzo di scambio. I suoi minatori ricevevano il 90% della paga in Wära, e chi accettava Wära poteva redimerli in carbone. Ogni buono Wära subiva la svalutazione[4] programmata geselliana per favorirne la circolazione rapida. La cosa funzionò tanto bene da attrarre l’attenzione di Mammona nelle vesti del Cancelliere Heinrich Brüning (1885-1970). Costui non perdette tempo a cassare Schwanenkirchen e a passare decreti-legge di emergenza, tutt’oggi in forza, contro l’emissione di qualsiasi moneta non ufficiale.[5]
Protagonista della seconda storia è Michael Unterguggenberger (1884-1936), borgomastro di Wörgl, cittadina nodo ferroviario del Tirolo austriaco.
Nel 1932 la moneta scarseggiava, le industrie chiudevano e infuriava la disoccupazione. I 1 500 disoccupati di Wörgl (su 4 000 abitanti) inutilmente accorrevano al borgomastro per aiuto.
Costui aveva letto Gesell durante la semipovertà delle crisi del 1907-08 e 1912-14, che gli avevano lasciato la tubercolosi che lo avrebbe portato alla tomba a 52 anni. Ma conosceva il rimedio, e si mise all’opera.
Dopo un paziente lavoro di avvicinamento e di convinzione presso i piccoli impresari, negozianti e professionisti di Wörgl, il 5 luglio proclamava:

La causa principale del barcollo dell’economia è la bassa velocità di circolazione della moneta. Questa progressivamente sparisce dalle mani dei lavoratori come mezzo di scambio. Filtra invece nell’ alveo dove scorre l’interesse, finendo con l’accumularsi nelle mani di pochi, che invece di riversarla sul mercato per acquistarvi beni e servizi, la trattengono per specularvi su.

Il municipio emise i suoi Bestätigter Arbeitswerte (Certificati di Lavoro) valorati alla pari con lo scellino ufficiale, ma ogni certificato per 1, 5 e 10 scellini, pur mantenendo un potere d’acquisto stabile, scadeva dopo un mese dall’emissione a meno di non rinnovarne la validità con un francobollo del valore dell’1% sul nominale, acquistabile in municipio. Questo, da parte sua, accettava i certificati come pagamento di imposte.
Non vi era obbligo di accettarli. Le alternative erano:

  • Depositarli in banca (municipale) a un interesse dello 0%. La banca, per non pagare la tassa di magazzinaggio, se ne sbarazzava o prestandoli o pagando salari e servizi.
  • Cambiarli in scellini ufficiali con uno sconto del 5% sul valore nominale.

Il municipio ne fece stampare un totale di 32 000 unità, ma in pratica ne emise meno di un quarto. La circolazione raggiunse una media di 5 300 scellini, cioè un irrisorio due scellini o meno a persona, che però procuravano lavoro e prosperità al circondario di Wörgl più di quanto lo facessero i 150 scellini/persona della Banca Nazionale. Come aveva predetto Gesell, la velocità di circolazione era l’importante: scambiandosi circa 500 volte in 14 mesi, contro le 6-8 volte della moneta ufficiale, quei 5 300 scellini mossero beni e servizi per ben due milioni e mezzo. Il municipio, con le casse continuamente riempite da un lato e svuotate dall’altro, costruì un ponte sul fiume Inn, asfaltò sette strade, rinnovò le fognature e le installazioni elettriche, e costruì perfino un trampolino di salto con sci. Per avere un’idea del potere di acquisto, lo stipendio del borgomastro era di 1 800 scellini mensili.
Al principio alcuni ridevano, altri gridavano alla frode o sospettavano contraffazione. Ma i prezzi non aumentavano, la prosperità cresceva e le tasse venivano pagate prontamente (perfino in anticipo) e immediatamente ri-investite in lavori e servizi pubblici. I ghigni si trasformarono ben presto in espressioni di stupore e i lazzi in voglia di imitazione. Ai primi del 1933 circa 300 000 cittadini della provincia di Kufstein erano lì lì per estenderne l’esperimento.
Frattanto Wörgl era diventata centro di pellegrinaggio di macroeconomisti europei e americani. Tutti volevano vedere «il miracolo» della prosperità locale che sfidava la miseria e la disoccupazione globali. Andavano per imparare? Non si direbbe, data la spessa coltre di silenzio su Gesell nelle facoltà di economia.
Mammona non dormiva. Unterguggenberger si era astenuto dal chiamare i certificati “moneta” dato che a farlo sarebbe incorso nelle ire della Banca Nazionale.
Il 19 agosto del 1932 il Dott. Rintelen, per conto del Governo, riceveva una delegazione capitanata dal borgomastro. Dovette ammettere che la Banca Nazionale aveva ridotto l’emissione di moneta da una media di 1 067 milioni di scellini nel 1928 a una di 872 nel 1933. Dovette anche ammettere che i certificati facevano senso e che non c’erano ragioni valide per interromperne l’esperimento.
Mammona però aveva i suoi “scienziati” alla Banca Nazionale, intenti a “provare” che l’esperimento doveva essere verboten. Eccone le ragioni “scientifiche”:

Benché l’emissione di certificati di lavoro sembri avallata al 100% da una quantità equivalente di moneta ufficiale austriaca, le autorità sovrintendenti, cominciando dall’area amministrativa di Kufstein fino all’ufficio governativo del Tirolo, non devono permettersi di sentirsi soddisfatte. La cittadina di Wörgl ha ecceduto i suoi poteri, dato che il diritto di batter moneta in Austria è privilegio esclusivo della Banca Nazionale, come per art. 122 del suo statuto. Wörgl ha violato quella legge.

La proibizione entrò in forza il 15 settembre 1933. Wörgl appellò. Il caso raggiunse la Corte Suprema, che fedele a Mammona cassò l’appello e mise fine all’esperimento.
Tornarono la disoccupazione, la miseria e la fame. Nelle Bierhallen bavaresi cominciava a farsi notare Adolf Hitler, oscuro immigrante austriaco. È impossibile affermare – o negare – che il secondo conflitto mondiale sarebbe stato evitato dando retta a Gesell. Il fatto è che furono i voti dei disoccupati a portare Hitler al potere.
Con la Moneta Franca il divorzio tra l’unità monetaria e l’oggetto che la rappresenta è sanzionato. La moneta diviene puro mezzo di scambio senza funzione alcuna di portavalori. Chi vuole risparmiare lo può fare con qualsiasi altra cosa che non sia quello che per un motore è il lubrificante.
            Nessun governo è stato abbastanza forte da istituzionalizzare la Moneta Franca in barba al potere finanziario.

Silvano Borruso


[1] 250 anni prima aveva preteso lo stesso il Principe di Conti con John Law (1671-1729), facendone crollare la banca. Tanto Law quanto Conti furono vittime della superstizione di Creso.
[2] Le due date dovrebbero campeggiare nei libri di testo di economia come date di vera liberazione. Non lo fanno perchè poderosi interessi creati continuano a estrarre oro dalle viscere della terra per seppellirlo nei sotterranei delle banche, così fomentando la superstizione di Creso.
[3] Questo tasso non è obbligatorio. L’importante è che non sia né tanto alto da scoraggiare l’accettazione, né tanto basso da incoraggiare la tesaurizzazione.
[4] Si svaluta l’oggetto che rappresenta l’unità monetaria, non il suo potere d’acquisto.
[5] In barba a questi decreti (forse però oggi aboliti) esistono in Germania una cinquantina di comunità emettenti moneta sociale propria con o senza caratteristiche geselliane.

1 commento:

  1. Grazie a Elia Menta per questo ottimo articolo.

    Sono Francesco Chini e, come Elia sa, io sono un fautore della MMT. Questo perché cerco di adottare un approccio pragmatico nei confronti dell'economia e quindi mi rendo conto che la MONETA FRANCA è, per il momento, una soluzione troppo avanguardista rispetto alla situazione italiana. Personalmente ritengo però la MONETA FRANCA la soluzione migliore al problema della moneta che sinora mi sia capitato di analizzare.

    Con la MONETA FRANCA si realizzano tutti gli obiettivi della MMT ma a prezzo di eliminare il risparmio privato come risorsa da preservare (per la MMT invece è risparmio privato è considerato come una risorsa da preservare). Prezzo che però ha risvolti positivi in quanto elimina automaticamente il rischio di concentrazioni di ricchezza eccessive.

    Riguardo a questi temi segnalo questo video:
    http://www.youtube.com/watch?v=amvZShThpg0
    in cui Bernard Lietaer (il quale è un sostenitore della MONETA FRANCA) parla della MMT e dice che i cartalisti (cioè i sostenitori della MMT) hanno ragione quando affermano che è possibile ottenere piena occupazione unita alla stabilità dei prezzi, ma che per lui la MMT non è ancora la soluzione. Lietaer ritiene che ciò che la MMT fa non è di cambiare il sistema economico in sé bensì LA GUIDA del sistema economico. Guida che, con la MMT, passa dai privati allo Stato. I rilievi mossi da Lietaer alla MMT io li ritengo fondati in quanto Lietaer è consapevole che il rafforzamento del ruolo dello Stato comporta anche dei rischi. Rischi che invece sono superati con la MONETA FRANCA poiché con essa il sistema economico raggiunge un "autoequilibrio", per così dire, senza cioè la necessità di interventi ulteriormente invasivi da parte dello Stato. In realtà il problema della MONETA FRANCA è a mio avviso solo "psicologico" perché con essa si richiede ai cittadini di ripensare il rapporto che questi hanno con i soldi.

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