"A Natale puoi".
E' questo lo slogan di una famosa pubblicità che viene ripetutamente
mandata in onda in questo periodo.
E la domanda ogni volta mi sorge spontanea
Ma perchè gli altri giorni non posso?
Implicitamente lo slogan mi risponde di no.
Certo.
In questo mondo la nostra vita viene scandita in tempi prestabiliti, già
regolati, noi ci limitiamo, nella nostra stupida meccanicità, ad accettarli e
seguirli senza porci né porre domande.
Esiste un momento in cui fare un dono alle persone più o meno care, esiste
un momento in cui mangiare il panettone, il torrone, questo o quel piatto
particolare, esiste un momento in cui ci si deve riunire tutti intorno ad una
tavola.
Addirittura ci hanno fatto credere che esista un momento per "essere più
buoni", un momento in cui è normale andare in vacanza, un momento in cui va
bene, è normale, fare la fila nel traffico pieno di macchine, intasato, fra
rumori, gas di scarico, bestemmie e cielo grigio, un momento in cui è
assolutamente normale guardare dei programmi che vanno in onda in quello che è
diventato chiaramente uno strumento di manipolazione di massa: la tv.
Ci hanno fatto credere che dei sette giorni che compongono la settimana,
sei siano da sacrificare per il lavoro e uno possa essere impiegato per il
nostro riposo. Per noi stessi.
Avere (se va bene) un giorno a settimana a disposizione potrebbe sembrare
una buona cosa.
Invece è un abominio.
Uno schiaffo, un calcio in culo all'essere umano.
Anche perché mica è vero che quel "tempo libero" lo dedichiamo a noi
stessi.
Lo dedichiamo a mille impegni, a mille cose da fare, a mille distrazioni
esterne a noi e che con noi hanno poco a che vedere.
Perché chi muove i fili di questo pazzo mondo di plastica ha orchestrato la
sua presa in giro talmente bene da non farci accorgere assolutamente di
nulla.
Hanno deciso di farci fare una gran confusione tra ciò di cui abbiamo
realmente bisogno per sopravvivere, e ciò che, in realtà, è assolutamente
superfluo.
Attraverso questa gran confusione chi ci controlla riscrive ciò per cui
siamo disposti a impegnarci, a fare sacrifici. Controllando le nostre priorità
controllano le nostre scelte ovvero controllano come spendiamo il nostro
tempo.
Ci bombardano ogni giorno di messaggi che hanno lo scopo di farci credere
di aver bisogno di quel telefonino, di quel pc, di quella macchina, di quella
maglia, di quelle scarpe, di quella forma fisica, di quel viaggio in quel
periodo dell'anno... riescono talmente bene nella loro opera di mescolamento e
rimbambimento che se non possediamo quegli oggetti o se non viviamo in un certo
modo ci sentiamo nudi, vuoti, inferiori rispetto a chi possiede quegli oggetti o
ha fatto suo quello stile di vita.
L'essere viene così prevaricato dall'avere e dall'apparire.
Spinti dall'avere e dall'apparire siamo disposti a compiere azioni, ad
impiegare il nostro tempo, in maniere del tutto innaturali.
Siamo disposti, ad esempio, a lavorare ore e ore al giorno, a sorbirci code
interminabili nel traffico senza domandarci se esista un altro modo per poter
mangiare, più dignitoso, più rispettoso della nostra natura, senza domandarci se
tutto ciò di cui crediamo di aver bisogno ci serva realmente.
Siamo disposti, sempre ad esempio, a fare la spesa (normalmente proprio
quel giorno in teoria dedicato a noi stessi: la domenica) in supermercati che,
in realtà, non sono altro che mostruosi espositori di merce impacchettata. E
mentre guardiamo un po' spaesati i venti tipi di riso messi in bella mostra
sugli scaffali pensando dentro di noi “Perdio, volevo solo del semplice riso!”
non ci accorgiamo del messaggio che, sottilmente, subdolamente, ci arriva
“scegli pure quello che cazzo vuoi, tanto non cambia nulla. Sei e rimani pollo
da allevamento. Abbindolato dall'apparente possibilità di scelta non ti
accorgerai mai di essere in gabbia”.
E in quella gabbia vogliono e devono farci rimanere.
Riscrivendo le nostre priorità riscrivono anche le modalità con cui
impieghiamo l'unico bene che realmente possediamo, ci spingono a impiegare il
nostro tempo nella spasmodica ricerca di quel qualcosa che crediamo possa
contribuire a colmare quel vuoto che dentro di noi percepiamo, riuscendo solo,
in realtà, ad aumentarlo sempre di più.
Ci spingono a barattare il nostro tempo con delle cazzate, a sprecare la
possibilità che abbiamo di realizzarci.
"Ora se tu chiedessi ad un ottantenne "quanti anni hai?" lui subito ti
risponderebbe "Ottanta!"
Ma se tu insistessi e gli chiedessi di togliere dai suoi anni il tempo
trascorso a compiacere amici e parenti, ad obbedire ai capi, a lavorare, a far
denaro, a studiare, a odiare e amare e gli dicessi: quanto tempo è rimasto per
te?
Ebbene quel vecchio si accorgerebbe di avere più o meno l'età di un
lattante!
"Che breve non è la vita ma quella che viviamo!" Lucio Anneo Seneca
Aida M.
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