Scoppia una bomba a Boston, in mezzo alla maratona: “edizione straordinaria!”, “terribile!”, “disumano!”, “abominevole!”.
Certo, come si deve commentare una cosa del genere?
Mica
è una bella cosa saltare in aria, rimanere mutilato, vedere i propri
cari ed amici esanimi o sanguinanti mentre ci si sta godendo una
giornata di sport… Chi attenta alla vita di persone qualunque, come
tutti noi, in situazioni del genere, quale che sia il suo palese o
recondito obiettivo, è indubbiamente un criminale.
Detto
questo, al di là di ogni sviluppo che avrà la faccenda (indagini,
strumentalizzazioni, depistaggi ecc.), e considerato che si possono fare
solo congetture sul “chi” e “perché” ha architettato questo spregevole
atto, sono da dire essenzialmente due cose.
La
prima è che questo “terrorismo”, questa entità indefinita che assume,
nell’immaginario della massa ben indottrinata, sembianze “islamiche”,
“di estrema destra” o “anarchiche” (con la variante più recente del
“pazzo isolato”), colpisce sempre individui comuni, intenti nelle loro
ordinarie attività, lavorative o ricreative. Chiaro che lo sdegno non
può che essere unanime, perché tutti, me compreso, percepiamo che, in
luoghi affollati, “ogni momento è buono”, e “potrebbe capitare anche a
noi”.
Guarda
caso, questo “terrorismo” col quale il “mondo civile” sarebbe in guerra
non colpisce mai “il potere” nelle sue persone e nei suoi luoghi
simbolici. L’attacco al Pentagono, che non può esser definito un posto
in cui s’aggirano “persone innocenti”, s’inserisce nella più ampia
vicenda dell’11/9, pervasa di illogicità, stranezze, incongruenze e
“misteri” irrisolti ed irrisolvibili.
Da
questi “terroristi” non ci si può dunque ragionevolmente attendere un
qualcosa che abbia a che vedere col classico regicidio o tirannicidio.
Il
“potere”, però, che detiene un ferreo controllo dei “media”, riscuote
regolarmente i dividendi di queste operazioni: “scoveremo e puniremo i
responsabili”, “vi difenderemo”, “vinceremo il terrorismo” eccetera.
Insomma, si passa immediatamente all’incasso, se si ha a che fare con una massa ampiamente manipolata ed impressionabile.
L’altro punto da rilevare è decisamente penoso ed imbarazzante.
Delle
vittime di un attentato in una qualsiasi città occidentale sappiamo
praticamente tutto. Che cosa facevano lì, le loro storie, le loro
speranze andate in frantumi. Si redigono mappe del luogo, si propongono
“gallerie fotografiche”, s’indugia fin nel più insignificante
particolare e si crea addirittura una “icona” del luttuoso evento.
Si pensi che ad una maratona del genere i partecipanti provenivano da
una cinquantina di paesi del mondo: bene, se ogni notiziario locale ha
parlato dei concittadini lì presenti (e l’ha fatto), si ha la misura
della diffusione nelle coscienze di un determinato stato d’animo.
Intendiamoci,
a me sta pure bene che si parli di questi sventurati (purché si eviti
un’inutile retorica), ma allora, se al centro delle preoccupazioni dei
dirigenti delle liberal-democrazie sta sempre e comunque “la vita
umana”, che si cominci ad interrompere il palinsesto radiotelevisivo e
s’inondino i notiziari di aggiornamenti e di particolari sulle vittime
anche ogni volta che una bomba esplode in qualsiasi parte del mondo
facendo “vittime innocenti”.
A quel punto, ben poche trasmissioni non finirebbero interrotte.
In
Iraq, da quando quel paese è stato “liberato” nel 2003 perché la gente
ha visto in tv la statua del “dittatore” che tirata giù, è esplosa una
quantità impressionante di bombe, piazzate su mezzi in sosta o lanciati
all’impazzata contro uomini, donne e bambini innocenti intenti a
svolgere le loro ordinarie attività.
Eppure,
ripeto, nessun “gran pubblico” viene informato minimamente su come sia
andata, sull’identità dei morti e dei feriti, sulle loro “storie”. C’è
difatti il ‘rischio’ che ci si renda conto che non sono poi così
“diversi” da noi.
E
mi voglio mantenere sullo stesso tipo di tragedia, quella provocata da
una carica esplosiva che d’improvviso vien fatta esplodere in mezzo ad
una folla. Perché in Iraq, in Afghanistan, in Libano, in Libia, in
Siria, tanto per citare i casi più recenti ed eclatanti, le bombe in
strada, nei mercati, nelle scuole, nei luoghi di culto eccetera
scoppiano ad un ritmo impressionante, e non si tratta di una “follia”
che caratterizza congenitamente quelle popolazioni. C’è soprattutto chi,
dall’esterno, utilizzando sovente elementi interni senza scrupolo
alcuno, è intento a seminare il “terrore” per i più svariati motivi.
Terrore
sparso a piene mani anche con le armi le più tecnologiche e per questo
asettiche nell’impressione che danno, a chi le maneggia, di non
ammazzare nessuno. Ed inoltre, anche se venisse qualche scrupolo, sarà
sempre utile convincersi che “siamo in guerra col terrorismo”, ed i
“terroristi” non sono forse per definizione - in mezzo a qualche “danno
collaterale” come i 500.000 bambini vittime dell’embargo all’Iraq o le
migliaia di nati deformi a causa dei proiettili occidentali all’uranio
impoverito – “sempre loro”?
No,
così non ci siamo proprio. Tutta la costernazione e le lacrime di
giornalisti, opinionisti, politici e persino uomini di religione (nel
senso di “professionisti” dell’amministrazione del sacro, o di quel che
credono sia tale, ché un vero “religioso” è ben altro tipo umano) sono
false ed ipocrite perché non sono versate per tutte le vittime del
“terrorismo”, indistintamente.
Ma
qui, nella patria della Dottrina Egualitaria di Stato, dove “per legge”
si parificano, definendoli “uguali”, nazionali e stranieri, maschi e
femmine, coppie normali e coppie omosessuali eccetera, sembra
impossibile fare un altro piccolo sforzo, il più semplice tra l’altro
perché il più logico, per considerare che al mercato, a scuola, in
chiesa o in moschea, e anche in una maratona, la gente è “uguale”
dappertutto. E lo è a maggior ragione quando viene fatta saltare in
aria.
Enrico Galoppini
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