1 Mi
interroghi su un problema che mi era di per sé chiaro, perché lo conoscevo a
fondo; ma è tanto che non ci ritorno
sopra, perciò non mi è facile ricordarlo.
Capita che le pagine dei libri si
attacchino tra loro per un prolungato disuso:
mi accorgo che a me è capitata la stessa cosa: la mente va messa a punto e
tutte le cognizioni che vi si sono depositate
vanno ripetutamente passate in rassegna per essere pronte ogni volta che
occorre usarle.
Dunque, tralasciamo per
ora l'argomento: richiede molto lavoro e molta attenzione. Lo riprenderò in
mano non appena potrò fermarmi per un certo
tempo nello stesso posto.
2 Di talune questioni si può scrivere anche in
carrozza, altre richiedono un divano, tranquillità
e solitudine. E tuttavia, anche in queste giornate in cui sono totalmente
assorbito da mille impegni, devo fare qualcosa.
Si susseguono sempre nuove occupazioni: noi le seminiamo e perciò da una ne
nascono molte. Poi ci concediamo
una proroga: "Quando avrò concluso questa faccenda, mi applicherò con
tutto me stesso", oppure: "Se avrò sistemato
questa faccenda fastidiosa, mi dedicherò allo studio". 3 Alla
filosofia non devi dedicarti quando hai tempo libero,
ma aver tempo libero per dedicarti alla filosofia; dobbiamo tralasciare tutto
il resto e applicarci ad essa: anche se la
vita va dalla fanciullezza alla vecchiaia più avanzata, il tempo che le
dedichiamo non è mai abbastanza.
Non cambia molto
se la filosofia la trascuri del tutto o ne interrompi lo studio; non rimane al
punto in cui hai interrotto, ma, come una
corda che tesa si rompe, ritorna al punto di partenza poiché è venuta a mancare
la continuità. Non bisogna cedere agli
impegni; non sbrigarli, liberatene. Non c'è un periodo poco adatto a uno studio
proficuo; eppure c'è gente che non vi si
applica, mentre lo richiederebbero proprio le cose in cui è immersa.
4 "Ma
qualche ostacolo salta sempre fuori."
Certamente
non per un individuo costantemente contento e pronto in ogni sua attività: la
contentezza viene meno se uno non ha
raggiunto la perfezione, ma la gioia del saggio è costante, non c'è causa, non
c'è rovescio di fortuna che la interrompa;
egli è sereno sempre e dovunque. Non dipende da altri, non aspetta il favore
della sorte o degli uomini. La sua
felicità è interiore; potrebbe venir meno se provenisse dal di fuori: e invece
gli nasce dentro.
5 A volte interviene qualche
fattore esterno che gli ricorda la sua mortalità, ma ha scarso peso e lo tocca
solo superficialmente; è sfiorato, insomma,
da qualche fastidio, ma il sommo bene è radicato in lui. Allo stesso modo certe
malattie sono superficiali, come
un'eruzione cutanea o una piccola ulcera su un fisico sano e robusto: il male
non ha radici profonde. 6 Tra il saggio
e il neofita c'è la stessa differenza che tra un uomo sano e uno che esca da
una lunga e grave malattia: a costui un attacco
più leggero sembra già salute. Ma quest'ultimo, se non fa attenzione, subito si
aggrava e ha una ricaduta, il saggio,
invece, non può avere ricadute e neppure ammalarsi ancora.
La salute del corpo
è momentanea: il medico, anche se la
restituisce, non può garantirla e spesso viene chiamato al capezzale di quella
stessa persona che lo aveva fatto venire
in precedenza: lo spirito, invece, guarisce una volta per tutte. 7 Ecco
come puoi capire se è sano: se basta a se stesso,
se confida in se stesso, se si rende conto che tutti i desideri degli uomini,
tutti i benefici concessi e richiesti non contano
per avere la felicità. Quello a cui può aggiungersi qualcosa è imperfetto;
quello a cui può venire a mancare qualcosa
non è eterno: chi vuole godere di una gioia perpetua gioisca del suo.
Tutti i
beni su cui la gente getta avidamente
l'occhio vanno e vengono: la fortuna non concede il diritto di proprietà su
niente. Ma quando li regola e li contempera
la ragione, anche questi beni fortuiti possono dare gioia; è la ragione a
conferire valore anche ai beni che provengono
dall'esterno: un uso smodato finisce per essere spiacevole. 8 Attalo
usava di solito questo paragone: "Hai mai
visto un cane azzannare con le fauci spalancate i pezzi di pane o di carne
gettati dal padrone? Divora sùbito tutto intero
quello che riesce ad afferrare e se ne sta sempre a bocca aperta sperando in un
successivo boccone. A noi capita lo
stesso: stiamo lì in attesa, e ogni bene che ci getta la fortuna lo buttiamo
giù subito senza gustarlo, attenti e ansiosi di afferrarne
un altro." Al saggio questo non capita: è sazio; anche se dalla fortuna
gli viene qualche dono, lo prende e lo mette
da parte con calma; gode di una gioia grandissima, continua, tutta sua. 9 C'è
qualcuno che ha buona volontà, fa progressi,
ma è ancòra molto lontano dalla cima: costui attraversa alternativamente
momenti di depressione e di esaltazione,
e ora si innalza fino al cielo, ora precipita a terra. Per gli uomini ignoranti
e rozzi non c'è fine alla loro caduta:
precipitano nel famoso caos epicureo, un vuoto senza confini. 10 C'è poi
una terza categoria: quelli che si accostano
alla saggezza; non l'hanno ancora raggiunta, ci sono però davanti e la tengono,
per così dire, sotto tiro: costoro
non si turbano, e neppure si lasciano andare; non sono ancora approdati, ma sono
ormai in porto.
11 C'è, dunque,
una grande differenza tra gli uomini che sono arrivati alla vetta della
saggezza e quelli che stanno in basso; anche
chi è a mezza strada è trascinato dalla corrente e corre un serio pericolo di
ritornare a una situazione peggiore; è per
questo che non dobbiamo dar spazio alle nostre occupazioni.
Chiudiamole fuori:
una volta dentro, altre ne verranno al loro posto.
Stronchiamole sul nascere:
meglio non farle cominciare, che doverle eliminare.
Stammi bene.
TRATTO DA "Lettere a Lucilio" - Seneca
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