martedì 5 febbraio 2013

L'F35 NON E' DA COMPRARE, MA IL PACIFISMO NON BASTA



Domenica 3 febbraio, su Rai Tre, è andata in onda una puntata di “Presa Diretta” dedicata alle spese militari, in particolare a quelle determinate dall’acquisto, da parte del Ministero della Difesa italiano, del cacciabombardiere F35 di produzione statunitense. Qui è possibile vedere il reportage realizzato da Riccardo Iacona e Francesca Barzini.
Nel complesso, un buon servizio, che ha rilevato l’assurdità di tale commessa, riguardante un prodotto militar-industriale inutile da ogni punto di vista: quello dei costi, davvero esorbitanti; quello dell’efficacia bellica e dell’affidabilità per i piloti stessi; quello delle scarse ricadute positive sotto l’aspetto occupazionale.
In Italia, esiste una campagna “No F 35”, condotta da vari soggetti della “rete pacifista”. Così, anche la lista “Rivoluzione Civile”, capeggiata da Antonio Ingroia e che vede tra i suoi esponenti di spicco Flavio Lotti, promotore della “Marcia Perugia-Assisi”, fa di questa campagna uno dei suoi cavalli di battaglia, in nome della “pace” e del “rispetto della Costituzione”.
Ma a costo di passare per un bastian contrario, bisogna dire che ancora non ci siamo del tutto. Anzi, siamo ancora lontani dal dire come stanno le cose.
La storia degli F35 non può essere ridotta ad un palleggio di responsabilità tra "centro-destra" e "centro-sinistra" (e pure Monti ci si mette), e non è nemmeno sufficiente rilevare - come correttamente fa anche lo stesso Lotti - la responsabilità condivisa di tutti i partiti (come, d'altra parte, su tutto il resto dell’andazzo).
Né ci si può limitare ad una generica invocazione della “pace”, sia perché il ricorso alla violenza è comunque una prerogativa di cui gli uomini dispongono, quando tutti gli altri  mezzi non bastano più, sia perché il “pacifismo” organizzato, lungi dall’essere quella “superpotenza” di bertinottiana memoria che poi s’è visto che fine ha fatto, non ha mai prodotto alcun risultato politico tangibile.
Non parliamo poi della questione dei costi, “insostenibili in tempi di crisi”, come se “la crisi” non fosse una prescrizione, come quella del proverbiale medico, che impone l’amara medicina che il paziente, volente o nolente, dovrà deglutire... Insomma, si fa credere che “non ci sono soldi”, che la spesa per gli F35 toglierà risorse al cosiddetto “welfare” (mai che uno dicesse “stato sociale”), ma la verità è che i soldi, per quello che i dominanti intendono realizzare in base alla loro conclamata “agenda”, si trovano sempre, mentre fanno credere alla massa che non ce ne sono più per farle stringere la cinghia ed accettare una situazione sempre più difficile che, ripetiamolo, è voluta e creata al 100%.
E, infine, non è nemmeno questione di “rispetto della Costituzione”, questo feticcio che all’articolo 1, quasi fossimo una piantagione di cotone, pone “il lavoro”, e che viene resa carta straccia ad ogni passo avanti che fa la cosiddetta “integrazione europea”, la quale piace parecchio anche a tutti i “pacifisti”, visto che “l’Europa”, tanto più dopo il Nobel per la Pace all’Unione Europea, è associata ai “settant’anni di pace” garantiti alle nostre popolazioni, come se l’assenza di “guerra” – abbondantemente portata in casa d’altri - bastasse a garantire un consenso da parte di cittadini che oramai assomigliano sempre più a sudditi di anonime oligarchie fondate sul potere del denaro.
Come sanno i vari candidati “pacifisti” più e meglio di me, che non sono nessuno, la questione centrale è piuttosto quella della sovranità nazionale, che noi italiani, assieme a tutti i popoli europei, abbiamo perso nel 1945.
Qui ormai non è questione di andare a rivangare chi aveva ragione e chi aveva torto, e se era un bene o no farci "liberare". Al punto in cui siamo arrivati - quello di truppe cammellate dell'Occidente, trainato da Nato-Usa-Gb-Israele (con la Francia rediviva da quando hanno piazzato Sarkozy) - quella di stabilire le ragioni di settant'anni fa è questione secondaria, o comunque non fondamentale, sebbene far chiarezza in sede storica abbia la sua indubbia importanza.
Ma una cosa è certa: da quella data, siamo stati costretti ad intraprendere una politica estera sempre più masochistica, con rari momenti d’orgoglio, subitamente repressi in maniera spietata (vedasi la fine che hanno fatto i vari Mattei, Moro, Craxi, tanto per citare i casi più eclatanti). 
Quindi, il punto centrale è che l'Italia non è quella cosa che gli italiani stessi immaginano.
“L’Italia” va bene allo stadio e alla tv quando c’è da tifare per qualche sport; è quella del “made in Italy”, peraltro sempre più raro; è quella, del tutto virtuale, dei “150 anni dall’Unità”: della serie “se la cantano e se la suonano”. Resta ancora qualcosa dell’Italia delle tradizioni culinarie, ma su tutto il fronte della “cultura” è una frana completa, dalla lingua al patrimonio. Come stile di vita, infine, non è rimasto praticamente più nulla, tanto l’italiano s’è adagiato sul modello d’importazione “americano/occidentale/moderno”.
Con tutto questo bel quadretto, non sorprende che l’Italia non possieda una sovranità concreta, riflessa in una pratica geopolitica consona ai suoi interessi in quanto al centro del Mediterraneo, mentre all’interno deve adeguarsi, grazie all’azione di una classe politica completamente acquisita ai dettami “moderni”, di una vita sempre più disanimata, con ritmi ed obiettivi sempre più insensati e disumani, in nome dell’“Europa” e del “Mercato”.
Ecco perché, coerentemente con tutto ciò, l’Italia si presta a fare da valletto per ogni porcheria contro popolazioni che non ci hanno fatto alcun male, né hanno minacciato di farcene. Per di più, se in una certa parte del mondo decidono di regolarsi i loro conti, persino con le maniere forti, non sta certamente a noi andare a ficcare il naso, come invece è stato stabilito col principio della "guerra umanitaria", inaugurato con la spregevole aggressione alla ex Jugoslavia e successivamente replicato.
Ma la cosa più odiosa in tutto questo (di cui l'acquisto degli F35 non è che un seppur rilevante dettaglio), è che siamo letteralmente invasi e asserviti da oltre cento (100) basi ed installazioni militari Nato/Usa, il che configura una situazione in cui definire la nostra nazione una "Repubblica delle banane" non si discosta molto dal vero. Tale colorita definizione è quella usata dal compianto Giancarlo Chetoni, che sul quotidiano "Rinascita" ed il blog "Byebyeunlcesam", ebbe a scrivere memorabili interventi, tra cui alcuni espressamente dedicati all'F35.
Un altro studioso e, soprattutto, innamorato della sua patria, Alberto B. Mariantoni, anch'esso purtroppo scomparso di recente, aveva redatto per "Eurasia - Rivista di Studi geopolitici" (fascicolo 3/2005) un dettagliatissimo studio sulla presenza militare Usa/Nato in Italia e nel Mediterraneo; studio mai smentito e, anzi, talmente meticoloso dal gettare nel panico la cosiddetta "informazione" ufficiale, che ricorse, con una puntata di "Matrix", ad una penosa arrampicata sugli specchi, nella quale alcuni "esperti" farfugliarono di "accordi" (non sarebbe il caso di dire "diktat"?) e ridussero incredibilmente il numero di tali basi/installazioni Nato/Usa al ridicolo numero di sette!
Ma quando mai vedremo circolare i loro scritti nell’ambito dell’informazione “pacifista”? Mai, perché non erano funzionali al discorso che il “pacifismo” porta avanti, all’interno del quale l’idea di sovranità non ha alcun posto.
Va quindi sottolineato chiaramente  che quando di parla dell’F35 non è questione di "spese militari", di "inefficienze", di "sprechi", di "mazzette" eccetera (tutte cose che possono essere esaminate nel dettaglio, per carità), ma di sovranità nazionale, che la nostra nazione non detiene più, in nessun ambito, da quello militare a quello monetario, tanto per citare un tema che vedo cavalcare in maniera purtroppo vaga ed opportunistica anche in questi ennesimi "ludi elettorali", ma che avrebbe invece bisogno di una totale riforma, ripristinando la proprietà pubblica della moneta.
Il sospetto è, infatti, che solo perché siamo in vista delle elezioni, quando ognuno cerca di differenziare “l’offerta” (come in un mercato), si porti all’attenzione dei potenziali elettori la questione degli F35, che, come sinteticamente delineato, andrebbe affrontata da ben altro punto di vista e con un piglio decisamente “patriottico”, che è quanto di più lontano dal “pacifismo” cosmopolita e dal suo preteso opposto, la “guerra” di generali perfettamente a loro agio nel ruolo di esportatori,manu militari, del “Nuovo ordine mondiale”.

Enrico Galoppini
FONTE: http://europeanphoenix.it

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