Un professore di economia, Alberto Bagnai, si fa notare perché
da anni spiega come l’Euro, essendo un blocco degli aggiustamenti dei
cambi, automaticamente crea crescenti squilibri delle bilance commerciali
e causa la deindustrializzazione e la decapitalizzazione dei paesi meno
forti a vantaggio di quelli più efficienti – cioè dell’Italia a vantaggio della
Germania. Bagnai giorni fa alla radio raccontava che, dopo avergli
sentito spiegare questo meccanismo economico, una sua collega, docente di diritto,
si congratulò con lui per l’originalità delle sue idee. Bagnai replicò che non
si trattava di sue idee o scoperte, ma di una cosa risaputa tra chi ha una
formazione anche elementare di economia, perché insegnata nei manuali di
economia internazionali del terzo anno di economia e commercio (e,
facoltativamente, almeno ai miei tempi, al secondo anno di giurisprudenza). La
sua collega pensava che si trattasse di una scoperta originale. Lo
pensava solo perché non aveva nozioni di economia e perché è una
conoscenza accuratamente oscurata al pubblico e in totale contrasto col
Credo e Pensiero Unico inculcato alla popolazione generale
dai mass media e delle istituzioni – che sistematicamente mentono e
ingannano e nascondono. E tassano. E guidano il paese alla rovina a vantaggio
di altri. Ovviamente anche molti altri economisti sanno del predetto
meccanismo, ma quasi nessuno di loro ne parla, lo nascondono, per ovvio
opportunismo carrieristico.
Ma altri illustri economisti già dagli anni ’70 avevano predetto
che il blocco dei cambi in Europa, l’Euro insomma, avrebbe cagionato quello che
ha cagionato. Quindi i governanti di allora e di dopo e anche di oggi già
sapevano e volevano questo. Lo pianificavano, costruendo pezzo dopo pezzo
questo sistema monetario, e difendendolo. E allora che cosa direbbe
una popolazione privata del lavoro, del benessere, dei servizi sociali, della
dignità, del futuro, della speranza, se non ci fosse la censura a nascondere la
verità e se scoprisse che quegli illustri personaggi la hanno
deliberatamente e lucidamente ridotta in questo stato, e ora continuano a
governare a Roma, Francoforte, Bruxelles? Forse, non percependo che questa
casta è espressione della mentalità etico-politica nazionale, direbbe: “A
morte, traditori!” E forse Enrico Letta, che ha scritto un saggio dal titolo Euro
sì: Morire per Maastricht, dovrebbe fuggire in Germania per non
vedere applicato a sè questo stesso titolo.
Nel suo ampio e agguerrito discorso del 17.11.13, Berlusconi ha
sostanzialmente attaccato parti del Credo Moderatista (un tempo si
sarebbe detto “benpensante”), cioè quell’insieme di assiomi mainstream che
bisogna dichiarare di condividere per essere omologati e legittimati
politicamente come democratici, responsabili, politicamente corretti, non
estremisti. Il detto insieme forma una visione complessiva della realtà, delle
possibilità, perfino del bene e del male.
Il Credo Moderatista recita: il mercato è libero e buono, tutela
la democrazia e previene o risana le crisi ed efficientizza imprese e governi;
se funziona male è perché è ancora regolato troppo o troppo poco, come
preferite; le nazioni europee possono e devono integrarsi; l’apparato UE è
l’Europa, quindi è buono e legittimo; la sua parola è fonte di doveri per i
popoli dell’Unione; la costruzione europea garantisce benessere e crescita; la
cessione di sovranità nazionale alla Commissione, al Consiglio dei Ministri e
alla BCE è un dovere democratico e non ha violato la Costituzione; l’Euro fa
bene e uscirne sarebbe una rovina; l’austerità ha risanato e ora consente
sviluppo; i democratici devono essere europeisti; l’integrazione fiscale,
finanziaria, giudiziaria, bancaria è utile; Napolitano è molto saggio, non
sbaglia mai, non abusa dei suoi poteri, difende la Costituzione il bene della nazione;
la sua rielezione è costituzionalmente legittima; la sospensione della
democrazia è a difesa della democrazia; Monti e Letta sono grandi economisti,
non lavorano per la Germania, ma salvano l’Italia, la rilanciano, la
rappresentano con autorevolezza e standing internazionale; tra i paesi
comunitari regna la solidarietà e nessuno approfitta della sua forza per
arricchirsi a danno di altri; le riforme sono doverose e benefiche, e se non lo
sono è perché sono ancora insufficienti; il mercato fa bene, e se fa male è
perché mancano le liberalizzazioni; l’Italia nel complesso è retta dalla
legalità; la sua giustizia è credibile, giusta e legittima (anche se a livello
di Africa Nera); i suoi magistrati sono indipendenti, al di sopra delle parti e
ligi alle norme; le sentenze si rispettano e non si discutono; chi nega uno o
più di questi assiomi è un estremista, un populista, un antidemocratico.
Ora Silvio sfida una parte estesa di questo Credo, preparandosi
alla campagna elettorale per le elezioni europee, e aspettando la caduta del
governo Letta sui suoi fallimenti economici o sulle lotte interne del PD.
Quindi parla anche della struttura vera del potere in Italia, incentrata su una
nomenklatura consolidata, blocca ogni tentativo di riforma e innovazione, grazie
anche all’appoggio di certa magistratura.
Invero questo potere è detenuto ed esercitato dai vertici della
burocrazia, capi della magistratura (soprattutto di MD), della polizia, delle
forze armate – personaggi pagati centinaia di migliaia di euro l’anno;
direttori generali delle Camere; nelle elezioni popolari solo una piccola
fetta di potere viene messa in gioco: a parlamentari e governo, ossia agli
organi elettivi, resta poco potere effettivo, soprattutto per riformare il
sistema; sostanzialmente devono eseguire direttive dall’alto, e in cambio
possono farsi “i razzi loro”, cioè rubare; se qualcuno si ribella, interviene
la giustizia.
Per questo è illusorio dire che bisogna andare al voto per
cambiare, o che per cambiare bisogna fare una diversa legge elettorale. Per
questo Renzi è un solo un costrutto di marketing, un prodotto calato dall’alto,
e che obbedisce agli ordini dall’alto quando gli dicono di rientrare nei
ranghi, come nel caso Cancellieri. Per questo la riforma della legge elettorale
conta poco o nulla. Per questo i cambi di maggioranza parlamentare non hanno
avuto effetto sulla realtà, sulla decadenza ventennale del paese. E questi sono
fatti verificabili.
Questo realtà della struttura del potere in Italia corrisponde a
quella dell’Unione Europea, dove il potere è esercitato da soggetti non eletti
e non responsabili: superburocrati, dalla commissione, dal consiglio dei ministri,
dalla BCE, domani anche dal MES; il parlamento eletto dai popoli ha poteri
limitati sulla carta e nessuna autonomia nella realtà – si pensi che, pur
potendo esigere dalla Commissione il rendiconto, non lo ha mai fatto.
E’ chiaro che questo modello di potere è il destino, quello che
gradualmente viene imposto e implementato, ovviamente dall’alto, per il futuro,
nel progressivo svuotamento delle rappresentanze popolari e del principio che
il potere sottostà alla legge e al controllo di giudici indipendenti. I
referendum popolari che hanno detto “no” in Francia, Irlanda, Olanda, sono
stati superati agevolmente, su questa rotta. E anche questi sono fatti
constatabili. Le leve coercitive su popoli e parlamenti sono quelle del
cartello globale della finanza e della moneta. Irresistibili, completamente
superiori ad ogni controllo dal basso.
Silvio dice che rilancia Forza Italia per rompere questo schema,
a quanto capisco. Mi chiedo come un siffatto progetto possa riuscire,
dato che il detto schema di potere non solo è forte in sé, ma è anche sostenuto
dalla Germania tramite le istituzioni europee, in quanto la Germania ha
interesse a mantenere l’Italia in condizioni di sottomissione, inefficienza e
non competitività sui mercati europeo e globale, e metodicamente lavora in
questo senso dagli anni ’60, condizionando la corrotta classe dirigente di
questo paese, come conclusivamente dimostra nei suoi recenti saggi Nino
Galloni, soprattutto in Chi ha tradito l’economia italiana?, giunto in breve
tempo alla terza edizione. Quindi Berlino non allenterà la morsa e non
riformerà l’Eurosistema se non sotto minaccia dura e concreta.
E’ irrealistico, pertanto, pensare di poter riformare questo
Paese se non in uno scenario di drastica trasformazione in ambito comunitario,
che Berlusconi ha in effetti detto di volere. Per avere qualche chance di
successo, per riformare l’Italia, per liberarsi da questo Euro o per
correggerlo strutturalmente (trasformando, per cominciare, la BCE in una vera
banca centrale, garante del debito pubblico, come la Fed o la BoE o la BoJ),
servirebbe una rottura dell’attuale equilibrio di potenza in Europa, rottura
che potrebbe venire da una combinazione di disastri economici e sommosse
sociali nei paesi più danneggiati o più delusi (Francia) da questa UE a guida
tedesca, che è probabile maturino presto, in primavera, in concomitanza con le
elezioni europee che vedranno, finalmente, la pubblica discussione sui
reali risultati della gestione comunitaria e dell’Euro, e che vedranno pure e
sicuramente uscire rafforzati e forse federati tra loro i partiti euroscettici
ed eurocontrari di parecchi paesi comunitari.
Gli euroscettici italiani, francesi, spagnoli etc. saranno
aiutati dalla continua pagliacciata dei “nostri” statisti che vanno a Berlino o
“in Europa” a battere i pugni per avere sviluppo anziché solo rigore, ma
ci vanno senza un piano B, senza minacciare contromisure in caso di rifiuto.
Reclamare qualcosa dalla Germania (o da altri) senza minacciare una
contromisura (stampare Euro in proprio, uscire dall’Euro, uscire dal patto di
stabilità), equivale a parlare a vuoto. E a prendere per i fondelli gli
elettori italiani. Mi viene in mente Casini, il moderato per antonomasia,
quello che mentre Monti segava l’economia italiana, gli diceva “Bravo, prof. Monti,
vada avanti!”. Ebbene, giorni fa alla radio l’ho sentito dire qualcosa come
”La Germania deve capire che se non allenta la austerità per consentire
la ripresa in paesi come l’Italia, alla fine si troverà forte e ricca in mezzo
a un’Europa fatta di molti paesi ridotti in rovina.” Ma è proprio quello che la
Germania vuole, nei suoi sempre storicamente ricorrenti disegni di
conquista. Dalla spirale della rovina imposta da Berlino non c’è uscita se non
contrattaccando.
22.11.13 Marco Della Luna