In circa 30 anni che faccio l’avvocato, più 6 tra
università e pratica, non si è fatto che parlare di riforme che dovevano
rendere rapidi e giusti i processi civili e penali. Le riforme sono
venute, numerose. Il risultato è stato opposto. La “giustizia” italiana
resta saldamente a livello di Africa Nera e sotto il tiro della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo. E non parliamo solo del processo penale e
delle sue barbarie, ma anche e ancor più di quello civile, che negli
ultimi 22 anni ha visto 22 riforme ed è costantemente peggiorato come
efficienza, oltre a complicarsi tenicamente. Molte di queste riforme
sono state rimangiate dallo stesso legislatore per palese fallimento.
Eppure il Palazzo continua a sfornarne di nuove. Anche in fatto di
funzionamento degli uffici, introducendo disposizioni spesso assurde o
ineseguibili o atte solo a moltiplicare gli incartamenti. Il personale
non ne può più, maledice il ministro, si sente tradito, svilito,
costretto a subire imposizioni inutili e assurde, ha perso ogni fiducia e
stima nei vertici del ministero.
Di fronte a tanto, ovvio chiedersi se i dirigenti del Ministero che
concepiscono queste porcate siano una selezione di soggetti incapaci e
sconnessi dalla realtà, oppure se agiscano nel quadro un lucido progetto
di disorganizzazione intenzionale del sistema.
Propendo per questa seconda possibilità, che non esclude la prima (il
progetto di disorganizzazione cioè sfrutta l’inettitudine e la
stupidità di alti burocrati nominati per via clientelare), e per due
ragioni fondamentali.
La prima, è che se si trattasse soltanto di errori dovuti a
insipienza e impreparazione e imbecillità di determinati burocrati,
questi burocrati, visti i disastri che combinano, sarebbero stati
sostituiti con altri capaci, affiancati da magistrati e avvocati
esperti, e una riforma buona si sarebbe fatta, magari per progressivi
aggiustamenti e miglioramenti; invece, per oltre vent’anni, si è fatto
l’opposto, si è perseverato negli “errori” per decenni.
La seconda, è che il processo di disorganizzazione mediante
successive riforme nel settore giustizia va avanti in parallelo con
analoghi programmi nelle altre amministrazioni e funzioni dello Stato, e
altresì nelle grandi imprese pubbliche. E’ tutto un peggiorare i
servizi, aumentare i costi e le tariffe, destabilizzare i bilanci,
dequalificare il personale.
Non solo: anche le grandi imprese private hanno in corso questo
processo di disorganizzazione e degrado programmato, a cominciare da un
settore cruciale e decisivo per l’economia e la società: quello
bancario.
E’ facile intuire un possibile e verosimile scopo di questo Progetto
Disorganizzazione: consentire ai capitali stranieri di impadronirsi dei
gangli fondamentali dell’economia nazionale e di dirigere le
istituzioni nazionali attraverso la detenzione del debito pubblico
italiano. Cose queste che sono già abbondantemente state realizzate. Nel
lungo periodo, si sta lavorando per produrre un dissesto funzionale
generale del sistema Italia, in modo che si formino le condizioni di
emergenza e di consenso popolare a passare la gestione di tutto agli
eurocrati come burattini dell’unico Stato supercreditore e
superefficiente: la Germania.
Oggi il conto economico della grande maggioranza delle banche si
regge su tre colonne improprie e instabili, che crollerebbero
istantaneamente se venisse applicata la tanto strombazzata legalità:
-gli utili fittizi (ossia segnare a bilancio gli utili teorici
relativi a crediti in sofferenza, che però non vengono segnati in
bilancio come in sofferenza ma sono mantenuti “a rischio ordinario”: il
c.d. contenzioso sommerso; se emergessero, e prima o poi emergeranno,
salterebbero sia i conti economici che quelli patrimoniali, quindi tutto
il sistema bancario italiano);
-gli alti guadagni upfront da vendita di prodotti finanziari
fraudolenti (cioè prodotti per il risparmio-investimento che tu paghi
100 ma se il giorno dopo li vendi incassi 95, che è il loro valore di
mercato – il 5 è il ricarico-guadagno upfront e sottaciuto della banca)
(questa prassi sta però distruggendo il risparmio, quindi alla lunga non
è sostenibile);
-la quasi sistematica applicazione di tassi di interesse e
commissioni oltre la soglia di usura nonché di anatocismo illegittimo
(pratiche che alcune circolari della Banca d’Italia tendono ad avallare a
vantaggio dei banchieri, in un chiaro conflitto di interessi con la
funzione pubblica che essa dovrebbe svolgere, ma non può svolgere,
essendo proprietà delle stesse banche che dovrebbe disciplinare).
Siamo finiti, quindi, in una situazione tale, che non possiamo
applicare le leggi alle banche, altrimenti il sistema bancario salta per
aria. Questo lo devo far presente soprattutto ai molti entusiasti che
animano il movimento di lotta all’usura e all’anatocismo, avvocati e
non: prima che raggiungessero il loro obiettivo di applicazione della
legalità, le banche fallirebbero.
Come si è arrivati a tanto? Tappe fondamentali, legate ai più bei
nomi nella politica italiana, sono la trasformazione delle banche
pubbliche in società private finalizzate al profitto e gestite da
fondazioni in mano ai partiti; l’abolizione della separazione delle
banche di credito e risparmio da quelle di azzardo speculativo; la
privatizzazione della Banca d’Italia in mano a banchieri e finanzieri,
prima de facto poi di diritto nel 2006; l’introduzione del “Metodo Mc
Kinsey” nell’organizzazione del personale e del rapporto coi clienti.
Passaggi più recenti in questa direzione, ancora in corso, sono i
seguenti:
-si sono gradualmente sostituiti i dipendenti più preparati e
consapevoli con nuove leve di scarsa cultura, prive di formazione
(formare costa), con contratti da fame e precari, aizzate a vendere per
vendere, in un’ottica di brevissimo termine;
-si è gradualmente cambiato il tradizionale core business bancario,
da creditizio a commerciale: non più raccolta del risparmio ed
erogazione del credito con attenzione alla qualità e solvibilità dei
clienti nel tempo, ma vendita forzata di prodotti finanziari da upfront
(vedi sopra), sia bancari che assicurativi;
-si sono erogati crediti a go-go pur prevedendo che non sarebbero
stati rimborsati, e li si è venduti al pubblico ignaro sotto forma di
prodotti strutturati, contenenti la fregatura, cioè trasferendo il
rischio dalla banca ai risparmiatori senza avvertirli;
-il restringere il credito a imprese e privati, su scala macro, ha
forti effetti recessivi, quindi distrugge il reddito che è il
presupposto del risparmio, e il risparmio è a sua volta il presupposto
dell’investimento finanziario;
-si è preteso che il personale bancario, che non aveva formazione ed
esperienza in campo assicurativo, si mettesse a vendere polizze
assicurative;
-si pretende che i titolari delle filiali svolgano le loro mansioni
proprie di titolari e, insieme, quelle di formazione del personale sia
nei loro ruoli bancari che nei campi assicurativi e di gestione del
risparmio, mentre al contempo viene tagliato il personale;
-si adottano metodi di vendita prettamente commerciali: al personale
si ordina di telefonare a liste preconfezionate di clienti per vendere
carte di credito, polizze, prodotti finanziari;
-si allargano le remunerazioni dei vertici anche quando hanno
cagionato gravissimi danni, mentre a impiegati e funzionari si taglino
posti di lavoro, stipendi, premi di produzione; si disdicono i contratti
di categoria; si allunga l’orario serale di lavoro e si introduce
l’apertura del sabato; si legittima il demansionamento indiscriminato,
utilizzabile a fini intimidatori sul personale;
-tutto questo viene deciso a livello apicale, e le decisioni vengono
trasmesse ai dirigenti periferici e da questi, per via gerarchica, ai
titolari delle filiali, che le devono fare eseguire agli impiegati;
-assieme a siffatte decisioni vengono dettati obiettivi da
raggiungere, spesso senza le risorse (di tempo, competenze e personale)
per raggiugerli, quindi del tutto irrealistici, che poi vengono di
regola frustrati dai fatti;
-la gestione delle contraddizioni, delle difficoltà, delle
impossibilità, assieme alle conseguenti, inevitabili frustrazioni, è
scaricata sui dirigenti locali e sui quadri direttivi.
La strategia di assegnare compiti e obiettivi irrealizzabili e
contraddittori può essere letta come una tecnica di sottomissione della
gente, che, combinata alla sistematica dequalificazione del personale e
alla soppressione dei diritti contrattuali del medesimo sembra preludere
e inserirsi in una profonda ristrutturazione dei rapporti sociali.
Sono giunte ultimamente anche da Napolitano (che peraltro
sottoscrisse nel 2006 la privatizzazione di diritto della Banca
d’Italia!), critiche nel senso che le banche dovrebbero tornare ad
erogare credito alle imprese e ai privati, ossia all’economia reale,
anziché concentrarsi sulle speculazioni finanziarie e lo smercio di
polizze e altri prodotti più o meno farlocchi a risparmiatori sempre più
svenati; l’ABI ha replicato che le banche sono imprese private e che
quindi devono far profitti, cioè devono essere libere di scegliere gli
ambiti più lucrosi in cui impiegare i loro mezzi.
Questa replica, corretta in se stessa, appare però una bestialità, se
si considera che le banche hanno l’esclusiva dello svolgimento di un
servizio – la creazione e la allocazione della liquidità (ricordo che il
92% della moneta è creata dalle banche di credito mediante l’erogazione
di credito) – che non è solo un servizio di pubblica necessità
(l’economia, la società, hanno necessità di adeguata quantità di liquidi
per funzionare), ma è anche un servizio implicante l’uso di un potere
pubblico, politico (appunto, la creazione di moneta); dunque, in cambio
di questa posizione di esclusiva, di monopolio e di uso di un potere
politico pubblico, le banche hanno il dovere di soddisfare le necessità
dell’economia e della società, e di non strozzinarle per aumentare i
propri profitti; altrimenti vengono commissariate e nazionalizzate a
norma della Costituzione (artt. 41, c. 2 e 3; 42, c. 2,3,4; 43), ameno
ché foraggino adeguatamente i capi dei partiti politici per lasciarle
andare avanti così.
Marco Della Luna
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